• lunedì , 23 Dicembre 2024

Le parti sociali firmano appelli per la crescita ma non trovano soluzioni

Ha fatto sicuramente una certa impressione che ben 17 organizzazioni economiche e sindacali (praticamente tutte le più importanti e rappresentative, ad eccezione della Uil) abbiano sottoscritto un appello accorato in un giorno in cui (come mercoledì scorso) Piazza Affari ha conosciuto una delle performance più negative degli ultimi (difficili) giorni e lo spread tra i nostri titoli e quelli tedeschi ha raggiunto un livello record, segnalando così il perdurare di una crisi di credibilità che la manovra non è stata ancora in grado di superare. Ed è senz’altro positivo che siano le parti sociali a richiamare ad emergenze effettive un mondo politico distratto dai suoi problemi, invischiato in modo bipartisan nei guai giudiziari e, in attesa con rassegnazione e passività, dell’offensiva finale dei pm, con il medesimo atteggiamento di chi (sono parole di Winston Churchill) nutre il coccodrillo nella speranza di essere mangiato per ultimo.
Ma per essere convincenti non basta sottoscrivere un appello, invocare la “discontinuità”, rivendicare la “crescita”, proporsi come soggetti pronti ad assumersi delle responsabilità. In quelle stesse ore in cui redigevano il loro appello, le medesime organizzazioni si dividevano su di un atto significativo nel campo della politica del lavoro con particolare riferimento all’occupabilità dei giovani, come la riforma dell’apprendistato. I sindacati e la Confindustria, per rabbonire la Cgil e convincerla a firmare, hanno caricato il peso della riduzione a tre anni del periodo formativo (preteso dalla confederazione di Susanna Camusso) interamente sulle imprese del commercio e sulle banche, salvando invece i settori artigiani, che mantengono in blocco i cinque anni previgenti. Inoltre – questo è il punto cruciale – le parti sociali propongono un patto per la crescita come se bastasse un atto di volontà o addirittura un esorcismo per dare avvio ad una politica economica di sviluppo. Tutto ciò, senza prendersi la briga di avanzare non solo delle proposte convincenti, ma neppure delle proposte qualsiasi. Lo ha testimoniato un protagonista (autoescluso) della vicenda: il segretario della Uil Luigi Angeletti, secondo il quale non è stato possibile indicare una sola idea concreta nel testo per non e per non rendere più difficile la convergenza.
A conferma, è sufficiente sfogliare il Sole 24 Ore di giovedì. A pagina 11 vengono raccolte una miscellanea di indicazioni raccolte da varie personalità del mondo dell’impresa, del lavoro e dell’economia. Si tratta di proposte non solo diverse, ma assolutamente parziali e quasi tutte bisognose di risorse pubbliche. In sostanza, non si esce dall’illusione di poter promuovere la crescita con il deficit di bilancio. Mettiamo pure che il quotidiano economico (a cui si deve un ricorrente impegno nella pubblicazione di che riescono persino a catturare l’attenzione del Colle) abbia semplificato eccessivamente, per motivi di spazio, il pensiero delle personalità ospitate. Ma come si fa a determinare un della politica economica, quando i nostri conti pubblici sono tenuti sotto il tiro di mercati internazionali che hanno un solo cruccio: la stabilità finanziaria?
In ogni caso, è auspicabile che il Governo sia più attento e prenda in parola una disponibilità, dichiarata con tanto clamore. E magari induca le parti sociali a mettere sul tavolo il contributo (per ora avvolto da una cortina di mistero) che intendono dare .
Nella medesima giornata in cui veniva reso pubblico l’appello si era a lungo parlato di una intervista rilasciata da Giuliano Amato al Corriere della Sera, dove era ricordata l’estate del 1992. Allora, il Dottor Sottile convocò, da presidente del Consiglio, in un contesto politico ed economico non dissimile dall’attuale, le parti sociali e negoziò con loro un accordo, poi sottoscritto il 31 luglio sotto la minaccia delle dimissioni del Governo. Quell’accordo prevedeva – limitatamente ai temi specifici del mondo del lavoro – la fine di ogni sistema di indicizzazione delle retribuzioni, il blocco per 18 mesi della rivalutazione automatica delle pensioni e degli effetti della contrattazione aziendale (a compensazione venne erogato un modesto “elemento distinto della retribuzione”), in vista dell’ampio programma di riforma di tutti i settori della spesa pubblica (sanità, pensioni, pubblico impiego e finanza locale) che venne approntato in autunno nel quadro della legge finanziaria. Perché non riprovarci oggi per vedere, quanto meno, ?

Fonte: Occidentale del 1 agosto 2011

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