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Le oondizioni per ripartire

Il difficile viene adesso. Rete Imprese Italia è nata appena ieri, ma il gruppo dirigente delle cinque organizzazioni dell’artigianato e del commercio che le hanno dato vita sa che purtroppo non avrà diritto a un’infanzia spensierata. Tutt’altro. Non siamo ancora usciti dalla più ampia recessione dal dopoguerra a oggi e il copione dell’economia globale ci impone, come in una gara di slalom, di affrontare un altro ostacolo, la crisi della finanza pubblica europea. Un’emergenza che sta scuotendo la costruzione comunitaria e che finirà per cambiare l’agenda della politica economica nazionale.
È possibile infatti che prima dell’estate il governo comunichi in anticipo la manovra prevista per il 2011, chiami il Parlamento a votare subito una correzione dei conti pubblici, rimandi ogni velleità di politiche espansive e metta le parti sociali di fronte alle proprie responsabilità. Nella lista nera europea dei Paesi indebitati abbiamo guadagnato in questi anni qualche posizione e non c’è dubbio che per mantenerla dobbiamo dimostrare il massimo della coerenza e del rigore. Anche perché è stato osservato che ogni qual volta i governanti italiani parlano di riforma fiscale lo spread tra i nostri Btp e i Bund tedeschi sale. Ma la necessità di non perdere il relativo vantaggio acquisito nei confronti di altri Paesi vuol dire che saremo costretti a rinviare sine die scelte come il fisco più leggero e il federalismo che corrispondono a quanto chiedono sia le piccole e medie imprese sia i territori?
Queste domande ieri nell’intervento che Carlo Sangalli ha fatto a nome della presidenza di Rete Imprese Italia sono rimaste sotto traccia. Per prudenza e per fair play.Chi le ha esplicitate è stato Giuseppe De Rita che ha sostenuto con forza le ragioni dell’economia reale e del nostro capitalismo di territorio, componente chiave della stessa identità italiana. Con questa pressione fiscale, ha aggiunto, «non si fa ripartenza», per mettere gli imprenditori in condizione di battersi alla pari sui mercati internazionali c’è bisogno di maggiore libertà. Anche perché il dato (pessimo) sugli ordinativi delle piccole e medie imprese in aprile è un campanello d’allarme che non si può ignorare. Di conseguenza, la politica è chiamata ancora una volta a trovare una sintesi tra le ragioni del rigore e le esigenze della crescita, tra Maastricht e il Paese.
In questa chiave va segnalato il riemergere del tema del vincolo esterno, la predominanza degli impegni presi in sede europea che pone di nuovo in secondo piano le scelte formulate in ambito politico nazionale. Lungo tutti gli anni ‘ 90 la tesi del vincolo esterno servì a contenere il partito della spesa facile, riuscì a far capire agli italiani l’esigenza di adeguarsi agli standard europei, diede ai riformatori la forza per imporre cambiamenti che non avevano trovato sul piano elettorale i consensi necessari. Stavolta è diverso. Il vincolo esterno, «la canzone di Bruxelles», avrebbe come effetto il rinvio o il congelamento di provvedimenti largamente testati sul piano elettorale interno e che corrispondono pienamente alle richieste e agli interessi della constituency di centro-destra. Un rischio, dunque.

Fonte: Corriere della Sera 11 maggio 2010

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