Ecco il binomio imprescindibile su cui si gioca la partita decisiva per il futuro del mondo globalizzato.
Mentre il mondo si occupa della guerra dei fertilizzanti per lagricoltura, noi ci attardiamo ancora a discutere se gli OGM fanno bene o male. Da un lato, si è accesa una gara senza esclusione di colpi alla conquista della canadese PotashCorp, specializzata nellestrazione e produzione di minerali (potassio, nitrogeno e fosfato) utilizzati in agricoltura come nutrienti del suolo: nata per unopa ostile da 40 miliardi di dollari lanciata dal gruppo minerario anglo-australiano Bhp Billiton,ora nella battaglia finanziaria sembra voler entrare con una contro-scalata il gruppo chimico cinese a controllo pubblico Sinochem. Si tratta di una guerra che potrebbe cambiare la faccia dellagricoltura planetaria, perché i fertilizzanti sono sempre più necessari per ottenere la massima resa possibile dai terreni coltivabili, che sono una risorsa limitata per definizione, anche se in molte paesi ad alta industrializzazione, e lItalia è uno di questi, cè un progressivo abbandono della terra o un suo uso per altri scopi. In particolare, la guerra è per il controllo del potassio, prodotto in una dozzina dei paesi ma consumato in oltre 150. La Potash gestisce il 20% dellofferta globale, ma adesso anche i maggiori produttori russi, Silvinit e Uralkali, sono oggetto di manovre che, sotto la regia del Cremlino, potrebbero portare alla costituzione di un campione nazionale dei fertilizzanti con dimensioni e dunque potere di condizionamento del mercato agricolo superiori a quelle dei canadesi. Ma la stessa Bhp in gennaio aveva già rilevato, per 331 milioni di dollari, unaltra società canadese del settore, la Athabasca Potash Inc. Così come la mineraria brasiliana Vale ha da poco acquisito per 3 miliardi il controllo della connazionale Fosfertil, mentre è di appena quattro mesi fa la conclusione di una lunga battaglia che ha portato alla fusione tra Cf Industries e Terra.
Non solo. Considerato che milioni di persone hanno modificato le loro abitudini e possibilità alimentari per esempio, in Cina i consumi di carne sono aumentati di sette volte, decuplicati quelli di frutta e verdura e che lOnu prevede che nel 2050 la Terra, popolata da 9,1 miliardi di persone, dovrà sfamare 2,4 miliardi di nuove bocche, si è di conseguenza messo in moto un fenomeno, il land grabbing, cioè laccaparramento di terre (soprattutto in Africa), che nasce dalla preoccupazione di non avere abbastanza aree coltivabili. E nello stesso tempo, visti anche i ritmi di insediamento urbano (ormai più del 50% della popolazione mondiale vive in città), sono sorte le vertical farm, formula produttiva agricola che si estende verso lalto a mo di grattacielo.
Ecco, è in questo scenario che si cala la battaglia ideologica di retroguardia sugli organismi geneticamente modificati (ma preferirei dire migliorati) che si svolge in Italia ormai da tempo e che pare tornata di attualità. Lo stridore è assordante: ovunque, tranne che in Italia, si è capito che la produzione del cibo, attraverso lattività agricola e il collegamento di essa con lindustria di trasformazione, non è una delle ma la partita decisiva per il futuro del mondo globalizzato. E così noi, che del cibo di qualità abbiamo fatto giustamente la bandiera più sventolata del made in Italy, ci prepariamo a perderla questa partita. Possibile che mentre tutti si pongono il problema dellautosufficienza alimentare, lItalia sia lunico paese in cui la produzione di cibo è una variabile indipendente? Dario Di Vico, con un coraggioso fondo sul Corriere della Sera, ha dato una risposta che pare convincente: da noi si sono saldate due culture, quella ecologista antagonista e quella radical-chic alla Carlin Petrini di Slow Food che immagina si debba consumare solo il lardo di Colonnata e il pistacchio di Bronte, entrambe avverse a ricerca e innovazione. E per colpa di quel mix il transgenico è avversato non solo con motivazioni ideologiche ma anche per ragioni commerciali, come se OGM e taroccamento dei nostri prodotti fossero la stessa cosa e dunque come se la salvezza stia nel preservare le produzioni tipiche dalla ricerca scientifica. Una sciocchezza grande come una casa, che fa a pugni non solo con quanto sta succedendo nel mondo che dovrebbe indurci a riflettere come un paese che voglia recitare un ruolo di primo piano nel mercato globale del cibo non può preventivamente chiamarsi fuori dalla sperimentazione e dalle produzioni intensive ma anche con quanto accade in Italia stessa, visto che non cè bovino nazionale, da cui discendono molte dei più pregiati prodotti alimentari made in Italy, che non sia alimentato soia importata e prodotta in campi OGM. Altro che opa sul potassio.
Le nuove frontiere della battaglia alimentare
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