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Le nostre quattro mosse per dare scacco alla crisi

Il governo ha enunciato la sua strategia pro-crescita per il 2011 e gli anni successivi nel Documento di Economia e Finanza (Def), varato ad aprile. Oggi sarà approvato l’atteso decreto legge contenente le «Misure urgenti per lo sviluppo». Alla base di questo intervento e di quelli che l’hanno preceduto, vi è una strategia per promuovere la crescita economica di cui è opportuno ricordare gli aspetti essenziali.
Primo, il vincolo del consolidamento fiscale. Rispettarlo significa liberare risorse che rafforzano la crescita, riducendo le distorsioni che incidono negativamente su di essa. Naturalmente, questo deve essere ottenuto attraverso misure che non abbiano riflessi negativi sulle determinanti della crescita che sono sensibili all’azione dei governi.
E qui si viene al secondo punto: la riduzione della «pressione regolatoria». La crescita lenta dell’economia italiana dipende da un «ritardo di produttività». Nel primo decennio di questo secolo, in Italia, la produttività di fatto è ristagnata come dimostra il dato che la produttività del lavoro nell’industria manifatturiera è cresciuta in media dello 0,2% contro il 2,4% delle economie avanzate. Il ritardo dell’Italia ha cause strutturali che non si affrontano con politiche anticicliche che puntano a sostenere la domanda attraverso l’aumento della spesa pubblica. Al contrario, l’eccesso di spesa pubblica è fonte di inefficienza e può causare una riduzione anziché un aumento del tasso di crescita. Qui veniamo alla questione centrale della strategia pro-growth del governo. Può sembrare una faccenda tecnica, ma in realtà ha un contenuto «politico» fondamentale ed illuminante. Quand’è che lo Stato, che fornisce dei beni pubblici essenziali, smette di dare un contributo positivo? In altre parole, quando diventa inefficiente? Esiste una relazione, nota agli economisti come «curva di Armey», secondo la quale il legame tra tasso di crescita del Pil e «dimensione» dello Stato ha la forma di una «U-rovesciata». Secondo tale relazione, il tasso di crescita del Pil aumenta all’aumentare della dimensione dello stato, man mano che esso aumenta (e migliora) l’offerta di beni pubblici essenziali alla prosperità e alla crescita economica. Tuttavia, raggiunta una data dimensione ottimale, un ulteriore aumento di tale dimensione lo fa diminuire.
Come si misura questa dimensione? E soprattutto, lo Stato italiano ha già superato la dimensione ottimale? Comincerò col rispondere alla prima domanda. La dimensione dello Stato di solito viene approssimata dalla pressione tributaria (il rapporto tasse/Pil) oppure con il rapporto spesa pubblica/Pil. In entrambi i casi, in Italia siamo a percentuali vicine o superiori al 50%. Percentuali però che si registrano in molti altri Paesi europei che non hanno un ritardo di produttività. Invece, io propongo di misurarla con un indicatore di «pressione regolatoria» e, per questo motivo, di chiamare la relazione «curva del Leviatano». Restando nella metafora hobbesiana, e qui veniamo alla seconda risposta, non c’è dubbio che in Italia tale pressione sia eccessiva, ossia che l’Italia si trovi da qualche parte lungo il lato «mostruoso» di questa curva a forma di U-rovesciata (il tratto decrescente), quella che fa diminuire permanentemente il tasso di crescita.
Le misure contenute nel decreto legge sviluppo che sarà approvato oggi hanno come obiettivo specifico la riduzione di questa pressione, ed in particolare degli onerosi adempimenti burocratici esistenti in varie materie (privacy, appalti, ecc.) e la limitazione drastica della facoltà di introdurne di nuovi.
Ricordo ancora come questo provvedimento costituisca un ulteriore tassello del mosaico strategico delineato dal governo nel Def in cui, tra le altre, si riconosce il ruolo centrale della semplificazione nel contributo alla crescita del Paese e si precisa come il completamento dell’azione di riduzione degli oneri nelle aree di competenza statale possa generare a regime un risparmio di circa 11,6 miliardi di euro per le imprese. Dalla piena implementazione dei provvedimenti finora approvati sulla base del «Taglia oneri amministrativi» e del principio di proporzionalità i risparmi sono quantificabili in 6,9 miliardi di euro l’anno. Le importanti e attese misure in materia di privacy e appalti approvate con questo decreto legge comportano minori oneri valutati a regime in oltre 900 milioni di euro all’anno. Nel giro di pochi mesi il Governo ha quindi approvato semplificazioni in 4 settori chiave come ambiente, prevenzione incendi, privacy e appalti che complessivamente daranno risparmi per oltre 2,4 miliardi di euro all’anno.
Ridurre la pressione regolatoria è oggi la frustrata fondamentale da dare all’economia ed è conciliabile con la riduzione della spesa pubblica.
A queste politiche pro-crescita si aggiungono le riforme già approvate nei settori della pubblica amministrazione, dell’istruzione, delle public utilities, poi il federalismo fiscale e la riforma del fisco. Si tratta di una strategia ambiziosa ma realistica e coerente dalla quale è legittimo aspettarsi risultati significativi in parte immediati, in parte destinati a manifestarsi nei prossimi anni.

Fonte: Il Giornale del 5 maggio 2011

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