Se il buongiorno si vede dal mattino, è meglio aprire l’ombrello. La lunga stagione delle nomine non è cominciata all’insegna della qualità. Anzi. È abbastanza preoccupante che Giancarlo Innocenzi, dimessosi dall’Autorità delle comunicazioni dopo la pubblicazione di telefonate compromettenti con il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, sia stato ricompensato con la presidenza di Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti esteri.
E che il suo posto all’authority sia stato preso da Antonio Martusciello che nel suo curriculum vanta sì esperienze alla Sipra e a Publitalia, le concessionarie pubblicitarie di Rai e di Mediaset, ma soprattutto è tra i fondatori di Forza Italia. C’è poi il capo di gabinetto del sindaco di Roma, il consigliere di stato Sergio Santoro, che non più gradito a Gianni Alemanno, trova posto all’Autorità per i contratti pubblici.
Funziona così. Per i fedelissimi c’è sempre una casa ospitale pronta a fornire emolumenti, uffici, auto e autista, potere, prestigio. In qualche modo la designazione di Paolo Romani come ministro dello Sviluppo economico rientra in questa logica. Il curriculum dell’attuale viceministro con delega alle comunicazioni è infatti tutto all’insegna della tutela degli interessi di Mediaset, controllata dalla famiglia Berlusconi, nel sistema italiano delle televisioni. Ed è questo, più che il suo passato di imprenditore tv in proprio, ad aver convinto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che bisogna fare il possibile per evitare la nomina di Romani.
Dopo la rottura tra Berlusconi e Fini il problema delle nomine, segnalato con forza da Napolitano il 23 luglio scorso, è passato in secondo piano. Ma l’urgenza resta. In particolare la mancanza di un ministro dello Sviluppo economico (l’interim di Berlusconi non è una soluzione efficiente) e del presidente della Consob indeboliscono l’assetto istituzionale dell’economia italiana.
Secondo parlamentari vicini al presidente del consiglio, l’ultima tentazione di Berlusconi per risolvere la questione del ministero sarebbe di offrire l’incarico ad Adolfo Urso, attualmente viceministro e transfuga nel nuovo gruppo parlamentare che fa capo a Fini. Con l’obiettivo di riconquistarlo al Pdl. Ma Urso è un fedelissimo di Fini e l’operazione sembra avere poche possibilità di successo. Dovrebbero star fuori anche le nomine Rai, almeno quelle a breve. A Rainews dovrebbe andare Franco Ferraro, giovane giornalista già collaboratore di Antonio Marano, casacca leghista.A Susanna Petruni, vicedirettore del Tg1 e inviata sempre al seguito del premier, dovrebbe andare Rai 2: non potrebbero aspirarvi i finiani che hanno già Rai 1 con Mauro Mazza.
I finiani comunque non fanno proclami. «Chi deve fare le nomine, le faccia.Noi valuteremo», dicono. In realtà un potere di veto, e quindi un diritto alla consultazione preventiva, se lo sono conquistato raggiungendo una massa critica di qualche rispetto. E anche se non serve un voto in parlamento per renderle effettive il sottosegretario Gianni Letta (il quale continua a dirigere il traffico su queste questioni) farà sondaggi discreti per non aprire nuovi fronti con il presidente della Camera. Che resta pur sempre un alleato, anche se dall’esterno del Pdl.
Il divorzio tra Berlusconi e Fini un effetto importante sulle nomine sembra averlo già prodotto: secondo fonti politiche e di mercato, è tramontata la candidatura di Antonio Catricalà alla presidenza della Consob. Il trasloco dell’attuale presidente dell’Antitrust darebbe a Fini un’arma formidabile: la designazione del suo successore, sia pure d’intesa con il presidente del Senato Renato Schifani, fedele al premier. Con il rischio di una lunga impasse se Fini ritenesse di usarla come strumento d’interdizione o come mezzo di scambio per altre partite politiche.
Schifani e Fini si sono peraltro trovati d’accordo sull’indicazione di Santoro all’Autorità dei lavori pubblici. Dove la legge affida ai sette componenti del collegio il compito di eleggere il loro presidente. Che in settembre sarà verosimilmente l’attuale facente funzione, Giuseppe Brienza, vicepresidente con passato parlamentare nelle file dei centristi cattolici.
Tramontato Catricalà e passato agli atti il harakiri dell’ex-presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone (intercettato mentre chiedeva sconsolato a un sodale: «E io che faccio dopo la pensione?»), l’unica candidatura che sembra rimasta in pista per la Consob è quella del viceministro dell’Economia Giuseppe Vegas, destinato a vincere la corsa anche per mancanza di concorrenti.
Berlusconi che punta sui fedelissimi, Letta che si tiene buoni gli apparati dello stato, Fini che spariglia i conti ma anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti che ormai gioca in proprio con il sostegno della Lega di Umberto Bossi: le nomine si decideranno all’interno di questo quadrilatero. E nell’arco dei prossimi 18 mesi (vedere il Sole-24 Ore del 4 luglio) la mappa del potere economico in Italia potrebbe essere rivoluzionata. Sempre che il governo e la maggioranza sopravvivano agli smottamenti in corso.
Le nomine alla prova del quadrilatero
Commenti disabilitati.