• lunedì , 16 Settembre 2024

Le aperture della Fed. C’è chi scommette sui 700 miliardi di aiuti.

Il dado è tratto: per la seconda volta in due anni Ben Bernanke trascina la Federal Reserve oltre le «colonne d’ Ercole» degli «interventi non convenzionali» di politica monetaria. Nella riunione dei governatori che si concluderà il 3 novembre, il giorno dopo le elezioni di «mid term», la Banca centrale Usa avvierà la nuova fase di «quantitative easing» iniziando ad acquistare titoli del Tesoro a lungo termine con l’ obiettivo di sostenere l’ economia e di far calare ulteriormente il costo del denaro, anche per le scadenze più lunghe. Il capo della Fed non ha indicato un calendario né l’ ammontare degli interventi previsti, ma in un discorso pronunciato ieri a Boston ha illustrato con molta chiarezza l’ intenzione dell’ Istituto di muoversi a sostegno dell’ occupazione e anche con l’ obiettivo di provocare un moderato incremento dell’ inflazione: quella attuale (attorno all’ 1%) viene, infatti, giudicata troppo bassa e pericolosamente vicina a un quadro deflazionistico. I mercati hanno interpretato le parole di Bernanke come un’ ulteriore conferma della volontà degli Stati Uniti di andare avanti speditamente con una politica di aggiustamento monetario basata su una svalutazione del dollaro e si sono comportati di conseguenza: il biglietto verde ha perso ulteriormente terreno rispetto all’ euro (arrivato fino a quota 1,416 prima di un recupero a fine giornata) e sulle altre principali valute, confermando un trend che va ormai avanti da diversi giorni. Gli economisti sono divisi sull’ efficacia della mossa di Bernanke: molti ritengono che questa massa monetaria finirà per aiutare anche il mercato del lavoro, in assenza di altri stimoli fiscali diretti del governo Usa che, appesantito da un deficit pubblico che per il terzo anno consecutivo supererà ampiamente i mille miliardi di dollari, ha ormai margini di manovra molto ridotti. Altri vedono pochi riflessi positivi sull’ occupazione e ritengono che questa manovra miri soprattutto a correggere squilibri monetari internazionali e ad avviare una «monetizzazione» del debito pubblico Usa. A confermare la sensazione che gli Usa intendano andare avanti con la battaglia delle valute, c’ è anche l’ inattesa mossa del Tesoro che ieri non ha invitato al Congresso, come previsto, il rapporto semestrale sulle politiche del cambio dei suoi partner commerciali. In questa occasione il ministro del Tesoro Tim Geithner avrebbe dovuto decidere se includere lo yuan nella «lista nera» delle monete manipolate dai loro governi, come aveva minacciato di fare una settimana fa a Washington, durante il colloquio avuto col suo collega cinese, in margine ai lavori del Fondo Monetario e della Banca Mondiale. Gli analisti si erano convinti che, nonostante la rigidità dei cinesi, Geithner avrebbe evitato di accusarli in un documento ufficiale di essere dei manipolatori: un atto largamente simbolico, privo di conseguenze concrete e che, probabilmente, spingerebbe Pechino ad arroccarsi ancora di più. Ci si attendeva un documento sui progressi fatti e un nuovo richiamo alla Cina, ma accantonando l’ arma della «lista nera». Il ministro del Tesoro ha scelto un’ altra strada: pochi minuti prima della scadenza per la presentazione del rapporto, ha emesso un comunicato col quale rinvia la sua pubblicazione di un mese. Geithner dà atto ai cinesi di avere fatto qualche sforzo: da quando, il 19 giugno, Pechino ha annunciato una politica valutaria più flessibile, lo yuan si è rivalutato sul dollaro del 3% circa. Il ministro nota che negli ultimi 60 giorni il recupero è stato dell’ 1% al mese e afferma che, se questo trend dovesse continuare, ciò contribuirebbe a correggere gli squilibri «dovuti a uno yuan che lo stesso Fondo Monetario considera fortemente sottovalutato». Insomma, Geithner tiene aperto il canale del dialogo sperando che i prossimi vertici tra ministri finanziari e poi il G20 che si riunirà a Seul a metà novembre facciano segnare passi avanti sulla partita valutaria. Ma non rimette la sua arma nella fondina: la minaccia della «lista nera» è sempre lì, il rapporto verrà mandato al Congresso (che da tempo sta elabora misure protezioniste contro la Cina) subito dopo il G20. Tornando ai nuovi acquisti di titoli della Fed, Bernanke si è detto consapevole dei rischi che una simile iniziativa comporta, ma ha ribadito che una situazione straordinaria richiede misure straordinarie e ha rivendicato il successo della prima fase dei suoi interventi: quelli che, dopo lo «tsunami» del credito di due anni fa, hanno portato la Banca centrale a triplicare il suo bilancio fino a portarlo agli attuali 2.300 miliardi di dollari, dopo l’ acquisto di titoli (soprattutto obbligazioni immobiliari) per 1.750 miliardi. Quanto verrà speso nei nuovi interventi? La Fed non lo dice ma gli esperti si attendono un intervento complessivo di 700 miliardi di dollari diviso in tre tranche trimestrali. La nuova stagione «accomodante» della politica monetaria Usa dovrebbe concludersi a metà del 2011.

Fonte: Corriere della Sera del 16 ottobre 2010

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