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L’autonomia della Bce val bene un passaporto

Per quale ragione non ci possono essere due italiani nel board della Banca centrale europea? La nomina di Mario Draghi a presidente della Bce non è una concessione all’Italia, ma il contrario. Semplicemente non c’era un candidato non italiano tecnicamente e psicologicamente all’altezza del posto. Quindi sostenere che in cambio della nomina di Draghi l’Italia debba cedere qualcosa è un trucco da falsari a cui il Governo italiano sembra cedere volontariamente.
Ora il presidente francese Sarkozy chiede che il secondo italiano, Lorenzo Bini Smaghi, faccia le valigie e lasci il posto a un suo connazionale perché due italiani sono troppi. Forse sono troppi i francesi al vertice delle istituzioni internazionali? Forse Strauss-Kahn non è francese? E forse non è francese la candidata Christine Lagarde che ne eredita la posizione? Non è francese l’attuale presidente della Bce, Jean-Claude Trichet? E non è francese il numero uno della Wto? Si potrebbe continuare.
I membri del board della Bce non rappresentano alcuno Stato membro, devono rendere conto soprattutto al Parlamento europeo proprio perché ci si aspetta che operino solamente nell’interesse generale dell’Euroarea nel suo insieme. L’idea che un Paese di grandi dimensioni, come la Francia, debba essere sempre rappresentato non solo non è storicamente vero (per 18 mesi proprio la Francia non fu presente nel board), ma fa infuriare i Paesi piccoli, non è riconosciuto dal Parlamento europeo ed è considerato contro logica da chiunque abbia a cuore l’integrazione europea e non solo l’equilibrio tra i poteri nazionali.
Anche Draghi in occasione della sua recente audizione al Parlamento europeo ha osservato che i «membri del Comitato esecutivo della Bce e del Governing Council (…) vengono scelti in base alla competenza, non c’è una regola per una distribuzione pro-quota in base alla nazionalità o al genere». In Germania l’iniziativa francese è criticata perfino dai giornali meno favorevoli a un’Europa sovranazionale perché rappresenta una pretesa di supremazia nazionale. È davvero strano che invece sia accettata servilmente da Roma. Per quale ragione? Per salvaguardare la nomina di Draghi? Dato che la nomina dei membri del Comitato esecutivo viene presa a maggioranza qualificata, la Francia non può bloccare la nomina del governatore della Banca d’Italia a capo della Bce.
L’idea che la nazionalità determini le scelte al vertice dell’unica istituzione sovranazionale europea (in tal senso la Bce ha un profilo di qualità diversa anche rispetto alla Corte di giustizia e al Parlamento) è un passo indietro nell’integrazione e impone un pregiudizio sull’autonomia e sulla qualità della Banca. Gli ultimi tre anni hanno dimostrato che senza l’autonomia della Bce nei confronti delle scelte dei Governi l’euro sarebbe già crollato. Sarkozy dovrebbe saperlo bene visti gli errori che stava commettendo insieme alla cancelliera Merkel tra ottobre e dicembre 2010. Errori che è stato possibile limitare solo con l’intervento molto conflittuale del presidente Trichet. Ci fosse stata dipendenza del banchiere centrale dai Governi, gli errori sarebbero diventati realtà. L’euro forse non esisterebbe già più. In un consiglio Ue di fine 2010 lo scontro tra i due francesi sulla clausola di default da aggiungere ai bond sovrani dei Paesi dell’Euroarea fu così forte che i due passarono ad accusarsi di fronte agli altri capi di Governo nella loro lingua madre. Dopo due settimane Sarkozy dovette alla fine cambiare posizione.
Ora il presidente francese dovrebbe avere qualche argomento migliore che non l’arroganza. Come ha spiegato Trichet riferendosi al caso del membro italiano, i Trattati prevedono che le cariche nel Comitato esecutivo durino otto anni. Le dimissioni devono dunque essere giustificate e motivate pubblicamente anche perché verrebbero messe a scrutinio dai mercati e dal Parlamento europeo. Quello che i Trattati vietano esplicitamente è che cambiamenti nel board siano dettati da interessi politici, personali o nazionali, perché finirebbero per amputare l’autonomia della Banca centrale.
Ridurre la questione a un problema di aspirazioni professionali personali, come ha fatto il notoriamente poco ambizioso Sarkozy, significa nascondere le violazioni di principio che il presidente francese sta commettendo. Trascurare i cardini delle istituzioni che presiedono alla salute dell’euro – autonomia dalla politica, scelte in base alla competenza del personale, interesse generale anziché nazionale – significa indebolire l’Unione monetaria. Più in generale significa far prevalere gli interessi di una nazione su quelli comuni degli altri 16. Anche se l’Italia non se ne accorge e sembra offrirsi all’umiliazione volontariamente.

Fonte: Sole 24 Ore del 21 giugno 2011

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