• venerdì , 27 Dicembre 2024

L’asta Alitalia nasconde tante trappole

La decisione di privatizzare l’Alitalia va, senza dubbio, nel senso di un’economia più libera e più efficiente in generale, e di un’economia del trasporto aereo in particolare, più moderna. E’ anche appropriato il metodo scelto: quello di mettere all’asta l’azienda, chiedendo, in prospettiva, un acquisto totalitario. Le aste, però, nascondono trabocchetti . In primo luogo, un capitolato molto restrittivo (e che non tenga conta delle esigenze di urgente risanamento finanziario e industriale dell’azienda) potrebbe portare a restringere eccessivamente la concorrenza, nella speranza forse di dare l’impresa a qualche buon samaritano ma con il risultato di favorire i bracconieri che sempre si annidano quanto è in ballo la cessione di un bene e soprattutto di un’industria pubblica. Nel 1865 o giù di lì, per la doppia inaugurazione del Canale di Suez e del Teatro dell’Opera Cairo, il Khedivé d’Egitto stabilì un capitolato così restrittivo che in pratica ci fu una sola offerta , quella di Giuseppe Verdi. Il risultato fù “Aida” (di cui tanto si parla in questi giorni) ma don Peppino Verdi (che non era né un buon samaritano né un bracconiere) si arricchì oltre ogni previsione tanto da creare la casa di riposo per musicisti anziani, oggi ancora in funzione al centro di Milano.
Non si vedono buoni samaritani vogliosi di accollarsi Alitalia (“un’azienda tecnicamente fallita” ha documentato Carlo Scarpa in un saggio recente ed eloquente) senza potere riorganizzare l’azienda per tenere conto che il traffico aereo ha vissuto cambiamenti strutturali giganteschi: tecnologici (negli aerei, nei sistemi di prenotazione, nella gestione del traffico aereo); di modello di business (i low cost); di regolamenti (la caduta delle barriere in Europa e a breve con l’Usa). Ci vogliono imprenditoriali, e libertà di implementarle. Il mondo, non solo del trasporto aereo, è, invece, pieno di bracconieri , pronti a impossessarsi (al più basso costo possibile) dell’azienda per cederne rami , dopo un lasso di tempo relativamente breve, e portare i libri in tribunale o mettere in liquidazione per ciò che resta. In breve, il ripetersi della vecchia commedia “Take the money and run”, “Prendi i soldi e scappa”.
Dal capitolato, quindi, sarebbe saggio eliminare tutte quelle clausole che nella speranza di attirare buoni samaritani aprono, al contrario, la strada ai bracconieri: impegni (difficilmente mantenibili) sui livelli occupazionali, “italianità”, possibilità di doppio “hub” e molti altri aspetti. Occorre aggiungere, però, paletti su qualità del servizio e indicatori monitorabili di competitività.
Occorre soprattutto non cadere nella trappola di un’asta al ribasso o simili . E’ un tema di cui non si parla in questi giorni ma è la soluzione per superare molti trabocchetti. La strada è quella di un’”asta alla Vickrey”, dal nome dell’economista William Vickrey , che per l’idea prese il Nobel nel 1996. Ipotizzando l’efficienza come obiettivo del policy maker venditore, il premio Nobel Vickrey dimostrò che il meccanismo per garantirne il raggiungimento è quello della second-price sealed auction, in cui tutti le offerte vengono comunicate contemporaneamente . Vincer l’offerente con la massima offerta, in cambio del pagamento del secondo prezzo più alto. L’efficienza viene garantita, in quanto il bene viene allocato al compratore che ne dà la massima valutazione e, per giunta, i bidders non hanno incentivo a fare i bracconieri dichiarando il falso. Per i dettagli si veda il volume curato da Nicola Dimitri, Gustavo Piga Giancarlo Spagnolo Handbook of Procurement Fostering Participation in Competitive Procurement appena pubblicato dalla Cambridge University Press ( anche se i suoi autori sono tutti italiani).

Fonte: Il Tempo dell'11 dicembre 2006

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