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L’ascesa dell’India capofila del Sud globale

di Fabrizio Onida

La guerra russo-ukraina catalizza in queste settimane l’attenzione della politica estera, in vista di una ancora lontano assai controverso ma non impossibile ingresso dell’Ukraina nella Nato, e prima ancora nella Unione Europea. Ma nello scenario geo-politico sta facendosi progressivamente strada una prospettiva meno euro-centrica, che guarda a Est, al ruolo dell’enorme continente asiatico e in particolare della Cina di Xi Jinping, in un contesto allargato che prende il nome di “Indo-Pacifico” perché si estende dall’India agli Usa, passando dal Giappone, dalle economie dinamiche dell’Asia orientale (come Sud Corea, Singapore, Tailandia, Indonesia) e dall’Australia-Nuova Zelanda, senza dimenticare la grande Russia asiatica.

In questo quadro qualcuno già vede l’India come il nuovo “elefante nella stanza” (espressione che nel cortile di casa dei partiti italiani Bersani aveva bonariamente ribattezzato “mucca nel corridoio”!).

L’India offre un quadro pieno di contraddizioni fra ampie aree di arretratezza e importanti motori di sviluppo economico moderno.

Qualche dato:
a) una popolazione di 1,4 miliardi ormai superiore alla Cina, di cui 200 milioni di fedeli dell’Islam, che ne fanno il terzo paese musulmano del mondo dopo Indonesia e Bangladesh;
b) una piramide demografica per cui solo la metà dei 900 milioni della popolazione in età di lavoro e solo il 23% della popolazione femminile partecipa alla forza-lavoro (contro il 61% in Cina e il 56% negli Usa): questo è un enorme potenziale per la crescita futura della produttività e del reddito pro capite del paese; si pensi che l’analfabetismo è sceso a meno del 20% ma colpisce ancora più di un terzo della popolazione femminile;
c) anche per queste ragioni demografiche e a causa di una ancora diffusa povertà, la dimensione del Pil totale è soltanto 3000 miliardi di dollari (6 volte inferiore ai 17.000 miliardi della Cina);
d) solo 84 milioni di indiani guadagna più di 10 dollari al giorno, contro 760 milioni di cinesi (Pew Research Centre);

Al tempo stesso spiccano diversi elementi che faranno sprigionare l’alto potenziale di sviluppo economico moderno:
a) ogni anno si laureano più di 500.000 ingegneri indiani e 1.000.000 di ingegneri cinesi, contro 400.000 ingegneri europei; circa 1 milione su più di 4 milioni di indiani immigrati negli Usa sono ricercatori-scienziati;
b) Bangalore, nello Stato del Karnataka, è considerata la Silicon Valley dell’Asia; dopo Usa e Cina l’India è oggi il terzo più grande eco-sistema di startup, di cui 44 sono diventate unicorni;
c) grazie alla carta d’identità elettronica i servizi finanziari fondamentali sono accessibili perfino nelle zone più remote del paese;
d) a differenza dalla Cina, l’India non ha mai cercato di diventare “la fabbrica del mondo” nell’industria manifatturiera, ma ha puntato su un’abbondante offerta di servizi nel terziario avanzato e su una digitalizzazione diffusa;
e) la strategia “Make in India” lanciata da Modi nel 2014 ha stimolato una crescente offerta di produzione manifatturiera. Vi è solo il rischio che un’eccessiva enfasi sull’industria nazionale impedisca all’India di partecipare attivamente al suo inserimento nelle complesse reti di sub-fornitura globale, di cui si avvantaggiano diversi paesi dell’Asia orientale;
f) i giganti dell’ICT, a partire da Amazon Microsoft Google e Apple stanno progettando ingenti investimenti in India, parzialmente riposizionando la propria presenza in Cina e puntando su segmenti avanzati come cloud e quantum computing;
g) la multinazionale indiana Tata Motors, che dopo aver assorbito la Daewoo coreana e la britannica Jaguar fattura 44 miliardi dollari nel settore auto e veicoli commerciali, è in prima linea nella messa a punto di veicoli elettrici che utilizzano batterie a ioni di litio;
h) allo sviluppo dei veicoli elettrici del futuro concorrono anche gli impianti di Renault-Nissan da tempo insediati nello Stato del Tamil Nadu (Chennai); il dominio della lingua inglese resta un forte fattore di attrattività per gli investitori esteri desiderosi di mettere radici nell’emergente polo indo-pacifico.

Se poi guardiamo oltre le performance economiche dell’economia indiana per cogliere la prospettiva geo-politica di un grande polo indo-pacifico, non possiamo prescindere dall’evoluzione del “nazionalismo internazionalista” del premier Narendra Modi, un ossimoro ereditato dal lontano successore di Gandhi Pandit Nehru (primo ministro 1947-1964), nonché dal ruolo che gli Usa vorranno giocare in questo contesto.

Nel 2005 il presidente George W. Bush definiva Usa e India come “natural partners by deeply held values”. Oggi, in virtù della radicata neutralità dell’India nella politica internazionale, confermata anche recentemente dal rifiuto di aderire alle sanzioni americane contro la Russia nella guerra russo-ukraina, nessuno parla di “alleati” degli Usa (come nell’accordo Aukus di Usa-Regno Unito-Australia per la costruzione di sottomarini nucleari) ma al più di un’India “partner” che rimane nettamente autonoma da Cina e Russia. L’India acquista dalla Russia metà del proprio equipaggiamento militare, insieme alla Cina è la più grossa importatrice del sanzionato petrolio russo e frequentemente vota contro gli Usa nell’assemblea dell’Onu. Non ha mai condannato l’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979.

Narendra Modi è molto vicino all’identità Hindu, ma deve già difendersi da qualche accusa di “Hindu chauvinism” a spese della forte minoranza mussulmana (ISPI Focus, 22 giugno 2023) e dal sospetto di caldeggiare una mitica “confederazione culturale” estesa dall’Afghanistan allo Sri Lanka e il Tibet. Modi è attratto dal modello plebiscitario di Erdogan, ma forse una consolidata, pur imperfetta, tradizione democratica agisce da antidoto alla tentazione di un “indocentrismo anti-occidentale” (Armellini, Corsera 3 luglio 2023).

Peraltro l’India ha aderito ad una iniziativa politicamente alquanto singolare come la SCO (Shanghai Cooperation Organization), fondata nel 2001 a Pechino e successivamente estesa a 8 paesi asiatici fra cui Russia Pakistan e Iran.

Al prossimo Summit del G-20 a New Dehli del 9 settembre l’attuale presidente Narendra Modi, che si considera leader di un “Global South” in alternativa alla Cina, potrebbe proporre l’ingresso nel G-20 dell’Unione Africana di cui fanno parte 55 Stati (attualmente solo il Sud Africa fa parte del G-20). In tal modo il progetto del Global South si contrapporrebbe all’iniziativa cinese della SCO.

Sarà sempre più visibile l’elefante indiano nella stanza dei grandi del mondo.

(Sole 24Ore, 12 luglio 2023)

Fonte: Sole 24Ore, 12 luglio 2023

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