Buone notizie da Bruxelles. La Commissione europea ha manifestato l’intenzione di redistribuire i fondi strutturali disponibili, 82 miliardi per il 2007-2013, a sostegno della crescita e dell’occupazione, soprattutto giovanile. Il presidente José Manuel Barroso si è augurato che venga accolta la sua proposta per la creazione di nuovi posti di lavoro.
Dopo mesi in cui si è parlato soltanto di rischi di crisi finanziaria, di rigore in materia di debito e deficit, di problemi dell’euro, di discussioni sul fondo salva-Stati ci si è accorti che l’Unione Europea ha un problema che domina tutti gli altri, quello della crescita. Ci sono naturalmente differenze tra i Paesi dell’area nord-occidentale dell’Unione, come la Germania, e i Paesi dell’area sud. Tra questi ultimi c’è anche l’Italia, si tratta di Paesi che sono cresciuti meno. In complesso però è tutta l’Europa che negli ultimi dieci anni ha segnato il passo. Viene da chiedersi perché l’Unione Europea solo adesso prenda atto di questa situazione.
L’Europa, non va dimenticato, è nata da una spinta ideale ma anche da una promessa di maggior benessere per tutti. Il mercato unico ha assicurato una circolazione più ampia delle merci e dei servizi, una maggior concorrenza, uno spazio economico e sociale allargato a vantaggio di tutti. Da un po’ di tempo questa promessa sembra venire a mancare, sopraffatta com’è dai tanti problemi che sono sopravvenuti.
Una risposta al perché ci sia una ripresa dell’attenzione verso lo sviluppo e l’occupazione potrebbe essere che i leader politici si sono resi conto che non è sostenibile per molto tempo ancora un quadro di difficoltà e sacrifici, senza l’annuncio di un qualche cambiamento. Può essere parzialmente vero. Quello che è certo è che abbiamo alle porte un nuovo problema, che va affrontato: si tratta dello squilibrio prodotto dalle divergenze di competitività e crescita tra i Paesi europei. L’avere una moneta unica porta la conseguenza che i Paesi meno competitivi non possono svalutare, come accadeva invece in passato e molto di frequente proprio nel nostro Paese. Una moneta svalutata consente un vantaggio competitivo all’export e ciò tende a riaggiustare lo squilibrio dei conti con l’estero, attraverso l’aumento delle esportazioni.
A questo punto c’è da rispondere a una domanda. Se questo meccanismo non può mettersi in moto in presenza di una moneta unica, appunto l’euro, e se nessun Paese può svalutare a suo piacimento, che accade? È chiaro che i Paesi meno competitivi esporteranno sempre di meno e se le loro importazioni rimarranno le stesse andranno in un deficit crescente. Ciò è quello che sta accadendo in Europa con la Germania, la più competitiva tra i Paesi europei che accumula crescenti surplus tra quanto importa e quanto esporta e i Paesi meno competitivi che hanno l’andamento opposto.
Che fare? È un problema in più per l’Europa. La soluzione non può che essere quella di ridurre i costi di produzione, in particolare i costi del lavoro, oppure di aumentare la produttività. Non c’è dubbio che è questa seconda soluzione quella che consente in questo momento di non incidere su salari che già risentono della crisi e di un cambiamento della distribuzione del reddito che come osserva l’Ocse li ha in questi anni penalizzati. Per aumentare la produttività non basta però l’impegno dei singoli Paesi e, dunque, dell’Italia. Ci vuole anche quello dell’Europa. Il nostro Paese ha titolo per la serietà delle scelte fatte per porre con forza l’esigenza dello sviluppo e, in particolare, l’emissione di eurobond per progetti d’investimento sulle reti informatiche, di trasporto e comunicazione che potrebbero di certo dare una spinta alla crescita.
L’arma indispensabile della produttività
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