Il rapporto del Fmi smaschera i danni del rigore franco-tedesco.E le riforme di Monti sono inutili.
L’Europa dell’euro è in recessione; sul bilancio dell’Unione tutti contro tutti: le formiche del Nord contro le cicale del Sud; la stessa idea di Europa in frantumi. Deutschland über alles. Populismi, antipolitica, egoismo ai massimi storici. Distruzione della coesione sociale. E tutto a causa della crisi e di come essa è stata affrontata.
E se aprissimo un serio dibattito in Italia e, soprattutto, a Bruxelles sulla crisi, sulle sue origini e sulle risposte sbagliate da parte dell’Unione? Finora non ci ha ancora pensato nessuno. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Gli studi più accreditati sono quelli del Fondo monetario internazionale che, nonostante la sua originaria cultura «rigida e fiscale», ha sposato posizioni opposte a quelle di Angela Merkel, in buona compagnia di Nobel del calibro di Paul Krugman e di Joseph Stiglitz e dei principali banchieri centrali, da Ben Bernanke a Mario Draghi. Secondo quanto elaborato dal Fondo monetario internazionale, per capire la crisi bisogna mettere sotto osservazione 3 indicatori: crescita (bassa), disoccupazione (alta) e debito (anch’esso alto). Nelle economie avanzate, oggi la crescita, quando c’è, è troppo lenta per dare uno slancio sostanziale all’occupazione; e il debito pubblico ha raggiunto i livelli più alti dal secondo dopoguerra. In Europa, l’insieme di questi 3 fattori ha sollevato crescenti dubbi da parte degli investitori circa la sostenibilità delle finanze pubbliche di alcuni Stati. Dubbi che hanno innescato un circuito perverso, determinando un abbassamento dei rating e un aumento dei rendimenti dei titoli dei debiti sovrani. A questo le istituzioni dell’Unione hanno reagito imponendo ai paesi considerati più deboli le solite ricette: programmi di consolidamento fiscale che hanno, però, finito per indebolire ulteriormente il sistema, sia dal lato della domanda, riducendo il potere d’acquisto delle famiglie, con conseguente calo dei consumi; sia dal lato dell’offerta, causando una forte contrazione degli investimenti da parte delle imprese e creando disoccupazione. Con ulteriore minore crescita, più disoccupazione e più debito.Appunto!
A ciò si è aggiunto il funzionamento non efficiente del settore finanziario. Un sistema bancario da rivedere nella sua architettura, per renderlo più idoneo ad assorbire, piuttosto che ad amplificare, gli shock speculativi. E a trasmettere, piuttosto che a bloccare, la politica monetaria della banca centrale. La road map verso una vera Unione, non solo bancaria, ma anche economica, fiscale e politica in Europa è pronta, ma Angela Merkel continua a bloccarla. Fino alle elezioni tedesche dell’autunno 2013 non succederà nulla.
Infine, molto ha influito sull’andamento della crisi un generalizzato sentimento di incertezza. A partire dalla Commissione europea, burocratica, impotente, piatta. Forte con i deboli e debole con i forti.
Bassa crescita, alta disoccupazione, alto debito, funzionamento non efficiente del sistema finanziario e sentimento di incertezza dovuta a una governance debole si sono tradotti, quindi, secondo le valutazioni del Fmi, in un grave aumento dei moltiplicatori fiscali, cioè gli indicatori di come si riflettono le misure di politica economica sul Pil, che nel periodo della crisi sono stati da 2 a 3 volte maggiori rispetto a quelli abitualmente registrati nelle analisi economiche. Tutto il masochismo folle della crisi finanziaria che ha investito l’area euro è iniziato a Deauville il 18 ottobre 2010: tutto è partito dalla dichiarazione di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy secondo cui, in caso di fallimento di un qualsiasi Paese europeo, le banche sarebbero dovute intervenire. Bella stupidaggine autolesionista del duo Merkozy! Uno: perché questa affermazione sottintendeva che gli Stati possono fallire. Due: perché con il coinvolgimento dei creditori privati si è creata di fatto la saldatura tra crisi finanziaria e crisi del debito sovrano. Significa che le banche europee da quel momento, nel calcolare il valore dei titoli di Stato in portafoglio, per fare il loro mestiere avrebbero dovuto scontare il rischio di fallimento dei Paesi emittenti. Quindi svalutare. Quindi ricapitalizzare. Nel frattempo precipitare in borsa e vedere rarefarsi la liquidità, con il relativo credit crunch. E arriviamo a giugno 2011, quando la principale banca tedesca, Deutsche Bank, ha ridotto (in)coscientemente la propria esposizione nei confronti del debito pubblico italiano da 8 miliardi a 1 miliardo (-88%), innescando un meccanismo folle per cui hanno iniziato a vendere i nostri titoli di Stato anche tutte le altre banche, quella ventina di merchant bank che fanno il bello e il cattivo tempo sui mercati, lanciando una insana competizione tra i debiti sovrani dei paesi dell’Eurozona e generando panico.
Nel frattempo, dall’altra parte dell’oceano, gli Usa rischiavano il default per aver sforato il tetto che il Congresso americano, dal 1917, pone al debito pubblico del paese, a luglio 2011 fissato a 14.300 miliardi di dollari. Al contrario di quanto avvenuto in Europa, la risposta degli Stati Uniti è stata netta e decisa. Ed è stato utilizzato lo strumento più adatto nel contesto che si era creato: la politica monetaria.
È così che la liquidità immessa nel sistema finanziario americano ha iniziato a spostarsi verso l’Europa, individuando di volta in volta, a seconda della congiuntura, uno o più Paesi su cui concentrare l’attacco. Per prima è toccato alla Grecia, poi all’Irlanda, al Portogallo, alla Spagna. Anche l’Italia è stata messa sotto tiro. Ondate speculative cui l’Unione europea, al contrario delle istituzioni americane, non ha saputo rispondere, o ha risposto troppo tardi e troppo poco. Anzi, l’unica ricetta contro la crisi è stata quella masochistica e pauperistica imposta dalla Germania.
Di fatto, la politica economica sbagliata di Angela Merkel ha vanificato gli sforzi della Banca centrale europea, che non solo ha mantenuto basso, al livello minimo mai registrato, il tasso ufficiale di riferimento (0,75%), ma ha anche adottato, nell’ultimo anno e mezzo, misure «non convenzionali», dall’acquisto sul mercato secondario di titoli del debito sovrano dei paesi sotto attacco speculativo alle 2 tranche di finanziamento al tasso dell’1% delle banche dell’Eurozona.
Dicevamo che è mancata completamente un’analisi seria e condivisa della crisi e della terapia da adottare. Nessuno l’ha mai fatta, nessuno ha voluto che si facesse. Cosa ne pensa, professor Monti? Se la politica dei «compiti a casa» della cancelliera Merkel era sbagliata, perché l’abbiamo subita senza batter ciglio? Se Lei ha raccolto, come rivendica, l’Italia sull’orlo del baratro, la sua mission era «salvarla», innanzitutto dalla Germania, non spingerla ancora di più nell’abisso, dando retta ad Angela Merkel.Quando
Lei è arrivato al governo l’Italia non era sull’orlo del precipizio, bensì nel pieno di una speculazione finanziaria. Nel pieno di un attacco mirato, voluto da poche banche. Con tanti avvoltoi opportunisti a voler la caduta del governo Berlusconi: in Europa per ragioni geopolitiche, come la Francia, da sempre in competizione con noi nel Mediterraneo per il gas e per il petrolio; in Italia per ragioni politiche, come la sinistra, che non aspettava altro che cavalcare la speculazione per far fuori il governo. Ora la situazione finanziaria continua ad essere febbrile e piena di incertezze, ma i fondamentali della nostra economia sono tutti tragicamente peggiorati. E la speculazione è sempre in agguato. Come meravigliarsi allora che le Sue riforme non abbiano riformato un bel nulla. Lei ha solo aumentato la pressione fiscale di quasi 3 punti in un anno. Nulla di più. Non sarebbe il caso di fermarsi e di cambiare rotta?
P.S. Ha ragione Mario Draghi, è stata la Banca centrale europea ad evitare il disastro. Non Lei, professor Monti. La verità comincia a venire a galla.
La verita’ viene a galla: la moneta unica in crisi affossa tutta l’Eurozona
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