• domenica , 22 Dicembre 2024

La vera ricetta è più mercato e molto meno Stato

La crescita non può arrivare dai governi europei. Occorrono maggiore liquidità (e quindi più inflazione), nuova spesa pubblica e altre tasse. Perché capitale e finanza hanno in sé la capacità di adattamento che serve per la ripresa.
Tutti invocano l’intervento dello Stato per aumentare crescita e occupazione, tanto che nel suo ultimo numero The Economist ipotizza che ormai l’economia globale stia andando verso il capitalismo di Stato. La considerazione dell’utilità del mercato è al suo minimo storico, senza che mai abbia toccato un massimo. Il mercato non è strumento popolare né per gli imprenditori, che devono duramente confrontarsi con esso soprattutto se nella sua forma migliore, quella competitiva, né per i lavoratori, che lo odiano per i vincoli che pone all’aumento del loro salario nominale non sapendone apprezzare i vantaggi che offre al potere di acquisto salariale.
Eppure la risposta che i Paesi stanno dando alla diffusa richiesta della pubblica opinione – attivando maggiori quantità di moneta a bassi tassi e a volte, come gli Stati Uniti, anche di spesa pubblica – può creare più problemi di quelli che si vogliono risolvere. Più moneta genera più inflazione, più bassi tassi dell’interesse guadagni effimeri e investimenti inefficienti, più spesa pubblica maggiore debito e nuove tasse differite. Il mondo marcia a passi svelti verso una nuova crisi o, se questa non sfoga, verso un impoverimento dei meno abbienti.
Il tanto vituperato mercato offre però un’ulteriore dimostrazione della sua vitalità. Di fronte alla crisi dell’euro, che a livello ufficiale non esiste, il cambio della valuta europea rispetto all’euro si è deprezzato nel giro di pochi mesi di circa il 15%, ricostituendo i profitti degli esportatori senza passare da guadagni di produttività ottenuti innovando prodotti e processi produttivi. Dalle decisioni dei governi già prese o non prese (laddove, come in Germania, vi è un eccesso di risparmi sui consumi) non può venire la crescita, come pretende con insistenza la pubblica opinione, mentre il mercato, con le sue grandi capacità di adattamento, pare già in condizione di stimolarla nell’ordine dell’1%. Alcuni ipotizzano che la parità con il dollaro possa tornare ai livelli fissati al momento della sua nascita – ossia 1,16 rispetto all’attuale 1,29 – e altri auspicano che l’euro e il dollaro raggiungano la parità per avere una consistente ripresa della crescita europea.
Ciò porterebbe a una crescita di un altro punto percentuale. Sarà improbabile che l’uno e l’altro obiettivo possano essere raggiunti, perché il dollaro è strutturalmente debole, anche se non cade, anzi si rivaluta perché ha dietro ciò che manca all’euro: uno Stato capace di difenderne la credibilità, ancor prima del suo valore. Naturalmente la spinta alle esportazioni causato dal deprezzamento dell’euro ha una grave controindicazione poiché rincarai prezzi dei beni importati, primo tra tutti quello per approvvigionarsi di petrolio, ma anche di ogni altro prodotto liberamente scambiato. Per l’Italia la svalutazione dell’euro comporta 1-1,5 punti percentuali di inflazione che forse si sono già manifestati nell’andamento corrente dei prezzi e opera sui redditi disponibili come una tassa di pari ammontare. L’andamento del cambio euro-dollaro non è l’unica prova della capacità di adattamento del mercato; esso ha infatti reagito con saggezza non trasmettendo lo shock delle recenti decisioni delle società di rating.
In conclusione sarebbe facile valutare che cosa ci riserva il mercato, se godesse di una maggiore fiducia e se non ci fosse la foga regolatrice delle autorità. Il mercato potrebbe rendere allo sviluppo un servizio maggiore di quanto le autorità non siano in condizione di offrirci.

Fonte: Panorama Economy del 28 gennaio 2012

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