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La tragedia dell euro secondo Soros

Per gli italiani George Soros è quello dell’attacco alla lira, dell’uscita dallo Sme, della svalutazione del 1992. Speculatore con un acuto senso delle linee di faglia dei mercati, filantropo generoso nel diffondere l’idea di società aperta nei Paesi usciti dal comunismo, pensatore con una visione esagerata di sé («Volevo essere un riformatore economico, come Keynes, o meglio ancora, uno scienziato, come Einstein»), Soros è davvero un personaggio singolare. La tragedia dell’Unione europea: disintegrazione o rinascita? è il libro che raccoglie quattro interviste che gli ha fatto Gregor Peter Schmitz, giornalista dello Spiegel; tre nell’estate 2013, l’ultima a dicembre, dopo le elezioni tedesche e il compromesso sull’unione bancaria.

Estate 2011, lo spread sul Bund si impenna: molti ripensano a quelle drammatiche giornate del 1992. La lira non c’è più, il nostro debito è denominato in euro: ma c’è un filo che collega la forzata uscita dallo Sme e lo sforzo per entrare con i primi nell’euro. Dalla svalutazione del ’92, dice Carlo Azeglio Ciampi a Paolo Peluffo, parte la necessità del risanamento e la consapevolezza di potercela fare. Da governatore della Banca d’Italia Ciampi ha mobilitato le risorse per sostenere la difesa della lira voluta dal Governo; da ministro del Tesoro convince gli italiani a far lo sforzo di portare il deficit al 3%: si tratta di superare un gradino, è il suo ritornello, e pagheremo gli stessi tassi di interesse dei tedeschi. Quello, dice oggi Soros, è stato «il più serio, fatale errore dell’euro». Se le autorità finanziarie considerano a rischio zero i debiti sovrani di tutti i Paesi dell’euro, le banche hanno un incentivo perverso a comperare titoli dei paesi più deboli, che pagano un interesse maggiore. Che debiti espressi tutti nella stessa valuta comportino debitori tutti con lo stesso merito di credito, appare oggi una ben singolare idea: eppure solo un anno dopo Lehman i Paesi dell’euro si accorgono che hanno emesso debito in una moneta che non controllano, una moneta straniera.

L’obiettivo di una «sempre più stretta unione» dell’Unione, ripete Soros, è stato tradito. Ma l’unione non era solo politica, era anche convergenza economica: e questa è mancata. Per l’Italia di Ciampi, l’idea era di essere obbligati da una moneta forte e stabile a seguire il modello tedesco. Se in Grecia ci sono i conti falsificati, in Spagna e Irlanda le bolle immobiliari, in Italia c’è solo l’incapacità di seguire la strada che avevamo scelto. La Germania, ammonisce Soros, quando era oberata dai debiti della prima guerra mondiale fu salvata dai finanziamenti Usa, e quando era in macerie dopo la seconda fu rimessa in piedi dal piano Marshall: ma se noi non vogliamo pagare per i nostri sbagli, perché dovrebbe farlo un tedesco? E quanto ai paragoni bellici, neppure il più accanito oppositore arriverebbe a sostenere che i Governi italiani degli anni 70 e 80 abbiano prodotto danni da bombardamento di Dresda.

La colpa, dice Soros, è della clausola no bailout, quella che impedisce alla Bce di salvare uno Stato. «I difetti rivelati dalla crisi dell’euro sono sistemici, radicati nella storia della creazione dell’euro, e non sono solo la conseguenza di cattive politiche economiche dei Paesi debitori». Bisognerebbe cambiare il trattato di Maastricht ed eliminarla: riconosce che «ogni cambiamento dei trattati è diventato inconcepibile»; non riconosce che senza quella clausola l’euro non avrebbe mai visto la luce. Inimmaginabile che Kohl non la conoscesse, evidentemente non la considerava un ostacolo, forse pensava che tutti avessero imparato la lezione sugli effetti perversi della spirale svalutazione-inflazione e quindi che non ci sarebbero state le «cattive politiche economiche dei Paesi debitori».

«La Germania, dice Soros, oggi è il principale ostacolo che ha impedito di andare avanti con gli eurobond e con una vera unione bancaria, non ha ambizioni imperiali, non vuole esercitare una benevola egemonia». Oggi ha due opzioni: o farsi carico di tirare l’Europa fuori dalla recessione, oppure abbandonare l’euro: “Lead or Leave”. E spiega come potrebbe funzionare un’Europa a guida francese, e una Germania da sola con il suo D-Mark.

Proviamo a riassumere: si fa la moneta unica per avere i tassi tedeschi, e si scopre che ci si è indebitati in una moneta straniera. Si conta su una moneta forte per far convergere le produttività dei Paesi dell’Europa, e invece la forbice si allarga. La clausola no bailout è il maggiore ostacolo al superamento della crisi, ma cambiare i trattati è impensabile. La Germania è la sola che potrebbe salvare l’euro, ma non ha ambizioni imperiali; potrebbe esercitare una benevola egemonia, ma non vuole. (E, aggiungo io, se le ambizioni le avesse e l’egemonia, ancorché benevola, la volesse esercitare, qualche riserva l’avremmo). Si voleva “un’unione sempre più stretta”, e nel prossimo Parlamento ci sarà una forte presenza di politici antieuropei e antitedeschi. Fino al paradosso: per salvare l’Europa bisogna spezzare l’euro. Dove sta lo sbaglio?

Forse lo sbaglio sta proprio in quel momento fondativo che Soros, e tanti con lui mitizzano: la visione europeista di Kohl e Mitterand era in realtà un progetto egemonico di nation building. Nell’introduzione, Schmitz ricorda che “in Europa, uno spazio pubblico non si è ancora sviluppato: né nei media o nella politica, né nella cultura della memoria, né nelle istituzioni chiave dei paesi”. Nell’ultima intervista, Soros annuncia che smette di occuparsi di soluzioni finanziarie, per guardare alla politica «dove mi aspetto sviluppi sorprendenti». Alla fine ci si ritrova di fronte al problema democratico: da lì deve ripartire il sogno europeo. Rinunciare a pretendere di uniformare tutto e tutti, consentire la concorrenza fra Stati riguardo ai sistemi fiscali e regolatori, allargare gli spazi di flessibilità nei contratti; costruire l’identità a partire dalla gente, dalle loro culture, dai loro interessi. Il nation building incomincia a casa propria.

Fonte: Il Sole 24 Ore - 18 marzo 2014

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