• lunedì , 23 Dicembre 2024

La svolta di Epifani contro le Brigate Rosse

E’ una svolta. Bene ha fatto Guglielmo Epifani a uscire allo scoperto. A raccontare lo sconcerto e i dubbi di fronte all’arresto per terrorismo di otto iscritti alla sua organizzazione. Il leader della Cgil è stato onesto anche nell’ammettere che occorre interrogarsi sulla presa che vecchie parole d’ordine riescono ad avere ancora su una nuova generazione di attivisti sindacali. Eppure in questi anni di cose ne sono cambiate tante nell’universo del lavoro dipendente. Da noi non c’è stata una Thatcher che abbia assestato un grande schiaffo alle confederazioni ma il lavoro si è comunque destrutturato, la grande impresa ha perso centralità, le fabbriche di oggi sono diventate irriconoscibili rispetto a quelle di solo dieci anni fa, quasi la metà degli operai lavora nei servizi, ci sono più tute blu in Emilia Romagna che in Piemonte e soprattutto l’Operaio ha perso la maiuscola. Non è più una macchina per la lotta di classe, è risparmiatore, consumatore e cento altre identità transitorie.

Di fronte a queste novità l’inchiesta dei magistrati milanesi ci riporta al passato, ci consegna cartoline ingiallite, ci parla di un capo brigatista che vive in montagna e da lì riesce a guidare una piccola setta di tardo-operaisti che cercano di infiltrarsi nelle lotte dei no Tav o nelle proteste antiamericane di Vicenza. Ma gli arresti di lunedì ci riportano anche all’assurdo triangolo terroristi-sindacalisti- giuslavoristi che ci inquieta almeno dal 1983 quando Gino Giugni, padre con lo Statuto dei lavoratori di una delle leggi europee più garantiste, fu gambizzato. Da allora è stato uno stillicidio, il terrorismo nelle varie rappresentazioni si è accanito contro i giuristi individuati come il reparto più fragile e indifeso del riformismo italiano. Però se non avessimo avuto i Giugni, i Tarantelli, i D’Antona, i Biagi, i Treu e gli Ichino avremmo una legislazione più antiquata ma anche più iniqua, meno preoccupata per le istanze dei deboli, in definitiva anti labour, non certo pro.

Eppure quella del giuslavorista, come ha scritto Ichino, resta una professione a rischio. E’ vero che, a differenza di altri Paesi d’Europa, da noi gli intellettuali del diritto si sono impegnati di più, hanno assolto nei momenti topici un ruolo di supplenza riformista nei confronti di leadership politiche e sindacali pigre e svogliate. A renderli indifesi non è stato però solo l’opportunismo degli altri ma soprattutto la persistenza di vecchie culture politiche difficili da sradicare. Da noi il lavoro produce ideologia, le tasse no. Da noi esistono culture carsiche che hanno legato l’emancipazione del lavoro alla violenza, all’insurrezione e non si è fatto abbastanza per combatterle. Tanto che nel 2007 non siamo ancora riusciti a chiudere del tutto la partita con le Br.

Proprio per questo motivo il contributo che oggi può dare il sindacato, in particolare la Cgil, è elevato. La svolta di Epifani è significativa e c’è solo da sperare che non sia lo scatto d’un giorno. Anche nel Pci degli anni 70 venivano di tanto in tanto scoperti iscritti e militanti toccati dal reclutamento terrorista. Dopo l’omicidio di Guido Rossa si decise di dare un taglio. Alcune cose in merito sono trapelate, altre non lo saranno mai ma negli anni successivi i partiti della sinistra si sono immunizzati dal virus bierre. Quando in un futuro non lontano, nei tempi morti della cronaca, dall’interno del sindacato giungerà notizia di un’iniziativa di decontaminazione delle strutture di base, allora si capirà che la svolta di Epifani ha avuto successo.

Fonte: Il Corriere della Sera del 14 febbraio 2007

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