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La storia che ci intreccia

Tutto torna, tutto si lega, le paure e la voglia di soluzioni. Lo tsunami sfida Gheddafi, i pericoli talvolta paiono volersi annullare. In tutto, salvo che negli effetti.
Passano 35 minuti prima che una domanda arresti il botta e risposta nucleare. «Ma l’Europa che l’ha un “piano B” se Gheddafi riprende Bengasi?».
L’interrogativo sul nemico alle porte piove nella sala stampa della Commissione Ue quando la sensazione che la cronaca del disastro giapponese abbia spinto la guerra civile libica fuori della porta è ormai diffusa. L’orrore lontano ha fatto saltare gli schemi dell’Europa, ha distratto dal massacro che si compie sull’altra sponda del Mediterraneo, il «nostro mare». Tutto si intreccia, le riunioni come i dubbi e le proposte. E, sopratutto, le paure più profonde.
L’agitazione è direttamente proporzionale alla sensazione di impotenza. La portavoce di Catherine Ashton, alto rappresentante per la politica estera Ue, riferisce che la baronessa britannica è al Cairo dove la Lega Araba ha detto «sì» a una «no fly zone» che impedisca al raìss di Tripoli di bombardare i suoi e i pozzi petroliferi. Lady Pesc volerà più tardi a Parigi dove i ministri degli esteri del G8 cenano insieme per capire come fermare il tiranno. L’attenzione dei cronisti scema, del resto l’invio dei caccia nei cieli della Cirenaica richiede l’avvallo dell’Onu, e l’ipotesi pare a tutti remota. Richiederà tempo e diplomazia, due ingredienti che giocano per Gheddafi.
La giornata è rovente come il reattore di Fukishima e confusa come l’avvenire del Giappone. Di prima mattina, l’Europa ha messo in fila i minivertici, non potendo fare altro. I padri fondatori hanno lasciato le scelte energetiche alle capitali e affidato a Bruxelles il controllo sulla loro sicurezza, visto che le radiazioni non avevano confini anche prima del mercato unico. Oggi i ministri nazionali tenteranno di rispondere a una questione precisa: quanti impianti terrebbero dopo un terremoto?
La Francia nuclearista fa sapere «che tutto le pare grave ma non catastrofico» e rompe l’asse con Berlino, che rinvia la decisione sul prolungamento della vita di alcune vecchie centrali oltre il 2022 e la chiusura di due siti, uno dei quali è nel Baden-Wuettemberg, dove si vota il 27 marzo. E’ la misura del peso politico assunta dello tsunami. Anche Svizzera e India tirano il freno, mentre l’Italia assicura che «la linea non cambia» e accusa «la macabra speculazione» degli antinuclearisti.
Alle tre e mezza s’inizia la conferenza stampa del consiglio Ue dei ministri verdi e le agenzie battono la notizia di 1500 libici partiti da Misurata, diretti verso le nostre coste. Scattano le consultazioni umanitarie, parallele a quelle che programmano l’assistenza ai giapponesi. Neanche a dirlo le domande dei giornalisti sono tutte atomiche e la Commissione rinvia alla riunione odierna dei tecnici. «Si lotta per evitare la fusione», digita la Cnn. «Le tribù libiche chiedono che si fermi il bagno di sangue», è il titolo che segue a ruota. A Parigi, il G8 consuma un mesta banchetto delle preoccupazioni. Il capo della protezione civile Ue, Agostino Miozzo, è volato in una Bengasi assediata. Non ha notizie confortanti, come non le hanno gli esperti anticontaminazione pronti a partire per Tokio. La storia si annoda, impone decisioni che nessuno può prendere da solo. Nel valzer della diplomazia multilaterale, Gheddafi e lo tsunami sembrano variabili egualmente pazze e incontrollabili. Talvolta paiono volersi annullare. In tutto, salvo che negli effetti.

Fonte: La Stampa del 15 marzo 2011

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