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La stampa è un bel cane da guardia. Se non esagera

Sta passando quasi inosservato in Italia il dibattito sul ruolo e l’etica dei media aperto nel Regno Unito dallo scandalo di News of the World, il tabloid di proprietà del magnate australiano Rupert Murdoch. La vicenda ha già fatto, per così dire, diverse “vittime”. Sotto il peso delle rivelazioni che hanno portato alla luce il gigantesco sistema di intercettazioni (ben settemila cittadini controllati) messo in piedi dalla testata per realizzare scoop o pubblicare notizie prefabbricate, e’ stato chiuso lo stesso News of The World e sono stati arrestati vari giornalisti. Infine, pochi giorni fa, si è dimesso James Murdoch, figlio di Rupert e leader del gruppo nel Regno Unito, mentre è stata condotta in prigione per la seconda volta Rebekha Brooks, la manager del tabloid. Ma la vittima più illustre della vicenda è senza dubbio la reputazione della stampa britannica, la cui caduta verticale presso l’opinione pubblica ha causato un crollo di vendite. Nel 2011 la diffusione di quotidiani anche prestigiosi, come il Financial Times e l’Independent, è diminuita rispettivamente del 16,5 e del 36,7 per cento. Nessun giornale inglese lo scorso anno ha registrato il segno più alla voce vendite. Se questi sono i risvolti negativi del phone hacking scandal, l’aspetto positivo è che esso ha aperto una discussione sull’etica dei media che meriterebbe maggiore interesse anche in Italia dove, seppure su una scala assai minore, non sono mancati negli ultimi anni abusi nell’utilizzo di materiali informativi di varia natura. A promuovere il confronto tra posizioni le piu’ diverse e’ stata la Commissione d’Inchiesta insediata dopo lo scoppio dello scandalo dallo stesso Cameron e presieduta da Sir Brian Leveson, un magistrato famoso per avere processato negli anni Novanta il serial killer Rose West. La Commissione, davanti alla quale sono sfilati i big dell’editoria e del giornalismo, ma anche star come Hugh Grant prese di mira dai tabloid, concluderà i suoi lavori entro il prossimo luglio: essa si propone di indagare, sia sulla cultura e l’etica dei media, sia sui rapporti tra questi, la magistratura, la polizia e la politica, per arrivare a formulare alcune proposte di intervento. Secondo Leveson . Il tema del controllo dei mezzi d’informazione è indubbiamente molto delicato in ogni paese, tanto più nel Regno Unito dove esiste una forte tradizione giornalistica e non mancano posizioni ultraliberali come quella dell’Adam Smith Institute, secondo il quale . Tuttavia, la spregiudicatezza del sistema informativo inglese ha raggiunto un punto tale che nessuno si oppone alla necessità di una qualche forma di intervento per ricostruire, come ha scritto il Financial Times, . La questione riguarda la natura degli interventi. La linea di demarcazione fondamentale passa tra chi è favorevole – ed è la minoranza – alla creazione di una vera e propria authority di settore (Media Standard Authority) che fissi le regole di condotta di base dei media e le relative sanzioni per chi non le rispetta, e chi invece opta per la creazione di un organismo di regolazione totalmente indipendente dalla politica e dal governo ma dotato comunque di adeguati poteri di enforcement. Perfino il presidente del Bbc Trust, il consiglio di sorveglianza della emittente pubblica, Lord Patten, ha messo un alt all’idea di un regolatore del primo tipo definendolo un . Sul fronte dell’industria della carta stampata, messa sotto forte pressione dalla concorrenza di internet e dall’intensità del cambiamento tecnologico, la semplice eventualità di un organismo pubblico che fissi una specie di normativa delle notizie con ricadute negative sui costi e la competitività non è neppure presa in considerazione. L’idea che si sta facendo strada è dunque la creazione di un sistema di regolamentazione indipendente, sia dallo Stato, sia dagli editori, governato da eminenti giuristi e da ex giornalisti con il compito di stabilire i principi base di un codice di condotta professionale (pluralità delle fonti, accuratezza delle informazioni eccetera) e le sanzioni da infliggere a chi non lo rispetta. Questo sistema dovrebbe prevedere anche un meccanismo di soluzione delle dispute tra i cittadini e i mezzi d’informazione. L’adesione a questo organismo dovrebbe essere su base volontaria ma con forti incentivi alla partecipazione (per esempio una parziale esenzione dall’Iva) e aperta ai media online. Essa inoltre rappresenterebbe una specie di certificato di qualità per i mezzi d’informazione partecipanti. Oltre alla possibile esenzione Iva per gli editori, un ulteriore vantaggio sarebbe rappresentato dal meccanismo arbitrale che potrebbe ridurre i rilevanti costi subiti per effetto del crescente numero di querele per diffamazione. Su questa linea si sono schierati i principali quotidiani britannici, come il Financial Times, l’Independent e il Guardian, che vi intravedono un mezzo per ricostruire la credibilità perduta, Secondo Leveson questa è l’ultima occasione di riscatto per un sistema mediatico che a giudizio dell’ex portavoce di Tony Blair, Alastair Campbell, ha assunto caratteristiche di .

Fonte: MF del 23 marzo 2012

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