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La speculazione vive sulla cattiva politica

«If you panic, panic first», mi diceva un navigato banchiere. Se un fatto ti spaventa, o reagisci subito, oppure stai fermo, non aggregarti al gregge che fugge, e ragiona. Ma ragionare nei momenti di panico è difficile: nell’ansia i pregiudizi sembrano antica saggezza, le idee convenzionali il distillato dell’esperienza, le frasi fatte un solido ancoraggio. Invece il più delle volte sono solo quelli che Bacone chiamava idola fori, e sono responsabili dei comportamenti gregari che amplificano i fenomeni. È quando si placa il vento e sembra scorgersi il sereno il momento per smontarli. Sarà domani la giornata propizia?
Madre di tutti i pregiudizi è la “speculazione”, e massimamente quella al ribasso, peggio ancora se oscenamente nuda. Eppure per ogni venditore c’è un compratore, tanto poco santo quanto il primo un malfattore.
Chi si mette al ribasso sul debito di uno Stato sovrano, sa di correre un grosso rischio: lo speculatore deve agire secondo le leggi, i Governi le leggi le fanno, e possono modificarle quando gli torna comodo. Supponiamo che il Governo italiano lunedi avesse annunciato che portava l’età pensionabile per tutti a 65 anni, o che vendeva una pingue aziendona di stato: se aveva la maggioranza per farsi rapidamente approvare le sue decisioni, sarebbero stati gli speculatori a farsi gregge e a scappare precipitosamente. Gli speculatori non attaccano un obiettivo economico, ma l’incapacità politica di risolverlo. Questo ne farebbe gli alleati dell’opposizione, se questa non fosse contraria ai provvedimenti (entrambi, nel caso in questione): è quindi l’opposizione che alimenta la speculazione e la induce a raddoppiare le scommesse. Proprio perché si oppongono a Governi indecisi o incapaci, gli speculatori sono sovente i migliori amici del Paese: George Soros ci ha obbligato a svalutare, e così Amato ha iniziato a smantellare le partecipazioni statali, e ad allentare la presa del Tesoro sul sistema bancario. Si è smontato lo Sme e spianata la strada per l’euro. Quando la speculazione sembra vincere e i titoli scendono, si fa il conto dei miliardi, e si dice che sono stati “bruciati”: nel lunedì nero, addirittura che è stata “bruciata” buona parte della manovra. Un’enfasi che alimenta la paura. “Bruciare” è quasi per antonomasia un processo irreversibile, il ceppo non ritornerà mai albero, e neanche i più fumosi pensieri ritornano sulla pagina su cui erano stati scritti, una volta che questa sia stata data alle fiamme. Invece i valori di Borsa possono ricuperare le posizioni provvisoriamente perdute, e basta che appaia che la manovra sarà presto approvata, per “sbruciarla”, senza che questo violi il secondo principio della termodinamica.
I grandi delinquenti hanno sovente un irreprensibile protettore. Complici degli speculatori sarebbero le agenzie di rating e la loro oracolare autorevolezza. Nell’accusa che viene loro mossa di essere complici della crisi dei subprime, oltre al pregiudizio c’è l’ignoranza della differenza tra il rating della trancia senior di un prodotto cartolarizzato e il rating del debito di un’azienda o di un Paese. È evidente che le agenzie sono in potenziale confitto d’interessi quando si fanno pagare dall’emittente per dare il rating; e che sarebbe meglio se fosse più grande il numero delle agenzie in concorrenza. Ma i problemi dei conflitti e del monopolio per incanto scompaiono quando il pregiudizio negativo contro il privato si salda con il preconcetto positivo a favore del pubblico, e viene fuori la bella pensata di un’agenzia “nostra”, comunitaria e pubblica. Evidentemente non è bastata la “distrazione” dell’Eurostat mentre ad Atene tenevano una contabilità da fare invidia a Tanzi e Tonna a Parma. Fra gli strumenti con cui i Governi potrebbero respingere gli attacchi, le privatizzazioni sono il sistema più semplice, perché non comportano né licenziamenti né riduzione dei servizi prestati. Proprio per questo, più alte si ergono le mura merlate degli idola fori con cui respingere chi propone di privatizzare: non conviene, non si può più fare politica industriale (sic!), è un regalo ai privati. Il pregiudizio più inespugnabile, perché tutto ideologico, è quello per cui solo il pubblico proteggerebbe la privacy dei nostri rapporti col fisco. Il trattamento informatico delle cartelle, l’Inghilterra lo mise a gara nel 1994. Da noi la fa la Sogei, forse l’unica azienda sopravvissuta allo smantellamento dell’Iri, al 100% del Tesoro e in regime di monopolio. In Inghilterra, non soddisfatti dell’azienda americana che aveva vinto la gara, le fecero causa e affidarono il lavoro a un’azienda francese. Da noi, riguarda anche Sogei la singolare “privacy”, su cui abbiamo avuto recentemente uno squarcio, con cui si fanno assunzioni e nomine di coloro che dovrebbero garantire la nostra “privacy”.
Gli idola fori, quelli sì che si dovrebbero bruciare: per non rimanere scottati.

Fonte: Sole 24 Ore del 14 luglio 2011

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