• lunedì , 23 Dicembre 2024

La solitudine dei piccoli nella corsa all’export

Per i Piccoli gli esami non finiscono mai. Archiviato l`anno del debutto sulla grande scena del protagonismo e della rappresentanza, le piccole e medie imprese si trovano davanti una strada ancora in salita. L`economia va un po’ meglio ma sono almeno due le domande a cui devono dare una risposta, in tempi tutto sommato brevi. La prima: visto che si sta affermando in Italia un modello produttivo centrato sull`esportazione come reagiscono le piccole aziende che all`80% lavorano per il mercato interno (stagnante)?
La seconda: che ruolo pensa di giocare nei prossimi mesi Rete Imprese Italia, l`evoluzione organizzativa del patto di Capranica, che dopo un promettente inizio sembra aver affisso il cartello «chiuso per ferie (lunghe)»? Nel gergo degli economisti si chiama export led ed è, per l`appunto, lo schema prevalente di uscita della crisi. E` quello che, per capirci, l`economia tedesca sta applicando con straordinario successo ma alla fin fine è anche fortunatamente la materia in cui va meglio la nostra industria.
Ma quale industria? La grande e la media, conferma Fabrizio Guelpa dell`ufficio studi di Intesa Sanpaolo che cura un monitor sui distretti. Le imprese maggiori viaggiano con un incremento medio delle esportazioni che possiamo fotografare a quota +12,5%, le piccole se va bene si attestano al 4%. Pagano innanzitutto la mancanza di politiche di marketing e l`assenza di marchi, oltre che l`estrema difficoltà ad essere visibili sui mercati più generosi come Cina, Brasile e India.
Il caso interessante è quello delle piastrelle del distretto di Sassuolo dove pure le piccole aziende sono abituate da sempre a frequentare con successo i mercati stranieri. «Ma nei Paesi Ue tutti ci arrivano – sottolineano in Confindustria ceramica – in Asia solo le grandi». Spostiamoci in Veneto e le analisi della Fondazione Nordest, diretta da Daniele Marini, ci confermano il gap. Nel secondo trimestre 2010 le vendite extra Ue delle aziende fino a 19 addetti hanno addirittura presentato un segno negativo, mentre le imprese con più di 50 addetti hanno potuto sfoggiare un incoraggiante +11,9%.
Anche nei mercati europei il differenziale è comunque elevato. Esaminando le previsioni degli ordini all`estero per il terzo trimestre le piccolissime dovrebbero risalire nell`attività oltrefrontiera ma molto più lentamente delle sorelle maggiori. Sia chiaro, il modello export led si sta imponendo anche perché i consumi interni non danno e non daranno segni di vivacità per lungo tempo, la riforma fiscale che dovrebbe rimpinguare i portafogli dei redditi medio-bassi è ancora da inserire nel calendario governativo e quindi vendere all`estero diventa imprescindibile per far sopravvivere il sistema industriale e tenere in piedi l`occupazione.
Ma quanto possono reggere i Piccoli senza giocare un ruolo importante in questa partita? Il rischio per le imprese minori è di presidiare solo quei settori che non sono né esportabili né delocalizzabili, in sostanza edilizia, manutenzioni, sanità e assistenza. E per quello che riguarda l`industria del mattone – che secondo stime della Cna dà lavoro direttamente o indirettamente a circa un terzo delle Pmi – c`è da respingere (persino in questo settore!) la nuova concorrenza cinese che al solito conquista posizioni grazie ad una manodopera che, per dirla eufemisticamente,non conosce orario di lavoro.
Se le cose che abbiamo elencato hanno un senso le Pmi per uscire dall`angolo ed essere pienamente protagoniste della ripresa dovranno giocoforza utilizzare la carota dell`export per accelerare le aggregazioni. Il progetto della diffusione delle reti di impresa, che il ministro Giulio Tremonti al seminario Ambrosetti con un eccesso di auto-indulgenza ha interamente attribuito all`azione di governo, sta facendo passi in avanti.
A Verona nell`alimentare, nel Varesotto perla metalmeccanica, a Lecco nelle macchine utensili, in Toscana e in Emilia, si segnalano di continuo nuove esperienze e gli aggiornamenti sono su base settimanale. Ma deve essere chiaro che tutto ciò non è sufficiente, viaggia ancora a una velocità da crociera quando ci sarebbe da correre. Nonostante il lavoro di alcuni network, come l`Aip di Domenico Palmieri, non esiste nemmeno un`anagrafe completa delle reti d`impresa esistenti, invece c`è bisogno che la logica delle aggregazioni diventi un movimento e questo è possibile solo se le organizzazioni di rappresentanza e le camere di commercio individuano la crescita dimensionale come progetto prioritario.
Solo le reti possono integrare i Piccoli dentro il modello export led in tempi non biblici. Perché oggi, come sottolinea il sociologo Paolo Feltrin, i Piccoli rimangono fuori dal gioco anche perché non hanno in azienda le competenze giuste. In qualche caso manca persino chi sappia l`inglese o comunque qualcuno in grado di stendere i contratti in lingua straniera. Le reti sono la strada più veloce per integrare le competenze tra aziende diverse e magari affittare in pool un professionista del marketing o del commercio internazionale.
C`è infatti scarsa conoscenza degli strumenti disponibili. Testimonia l`ambasciatore Giovanni Castellaneta che oggi presiede la Sace: «Noi siamo una risorsa che può essere utile al mondo delle Pmi ma loro non lo sanno. Possiamo assicurare quei crediti che le banche stentano a dare, invece le piccole e medie aziende ci vedono ancora come se fossimo solo al servizio delle grandi aziende pubbliche».E le banche? Cosa possono fare per riconciliare Piccoli ed export? Il professor Stefano Manzocchi della Luiss sostiene da tempo che «non si possono lasciare le piccole manifatture a loro stesse nell`arena internazionale».
Il modello delle imprese di dimensioni minori che seguono o affiancano le grandi industrie «stavolta non basterà», ha scritto sul Sole 24 Ore. Perché le grandi imprese esportatrici possono trovare «fornitori e servizi anche nei mercati emergenti, con rapporti qualità-prezzo spesso vantaggiosi». Da qui l`invito alle banche a selezionare e accompagnare le piccole imprese industriali all`estero. In proposito c`è interesse per l`esperimento di Intesa Sanpaolo che ha localizzato in Veneto, a Padova, il proprio centro per l`internazionalizzazione.
A quanto si capisce mentre in passato gli istituti di credito supportavano le, imprese dopo che queste avevano già acquisito gli ordini, ora si pensa di intervenire prima. Già nella fase di approccio, specie ovviamente per quanto riguarda i mercati più lontani e meno conosciuti.La profonda trasformazione che attende i Piccoli per dislocare, almeno in parte, la propria presenza all`estero chiama in causa le organizzazioni di rappresentanza e in primo luogo Rete Impresa Italia.
L`aggregazione che è andata sotto l`etichetta di «operazione Capranica» ha sollevato molte aspettative dentro l`universo del capitalismo personale ma anche nel mondo politico. Si è generato persino anche qualche timore di concorrenza in Confindustria, ma a più di cento giorni dalla nascita non si può dire di aver assistito a una partenza sprint. L`impressione è che l`inerzia stia prevalendo e si torni a privilegiare l`attività delle singole organizzazioni (Confcommercio, Confeserecenti, Confartigianato, Cna e Casartigiani).
Si tornano a prediligere il varo di iniziative o eventi delle singole sigle, nelle interviste i leader si qualificano solo con la loro vecchia appartenenza, sul territorio la tendenza a replicare lo schema cooperativo non è incoraggiata. Tutto ciò a ridosso della pausa estiva è stato particolarmente evidente e non lascia sperar bene specie quando entrano in agenda temi strategici come il nuovo matrimonio tra export e Pmi.

Fonte: Corriere della Sera del 7 settembre 2010

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