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La sinistra e la zona grigia

Si afferma con tranquilla sicurezza: i nuovi brigatisti sono pochi, isolati, psicotici, “quattro sciaguratelli”, come se la racconta Ingrao. Per Bertinotti, poi, si tratta, tutt´al più, di una variante delle “esplosioni di violenza che attraversano la società… chi stermina la famiglia, chi ammazza un poliziotto in uno stadio… un fenomeno circoscritto senza forza di propagazione politica”. Una volta ancora, come trent´anni orsono, la prima reazione scaramantica di molti guru di sinistra consiste nel negare la gravità dei fatti e il loro senso. Eppure già i primi episodi di solidarietà con gli arrestati, i manifesti diffusi davanti alle sedi sindacali (“Terrorista è chi ci affama e fa le guerre non chi lotta a fianco dei popoli”), il tam-tam via internet di alcuni centri sociali (“È una provocazione politica della magistratura alla vigilia della manifestazione di Vicenza”), quel manifesto di un candidato sindaco di una lista “resistenza per il comunismo” a Garbagnate nell´hinterland milanese (“Sono solidale al 100% con i compagni arrestati di cui chiedo l´immediata liberazione”) ci dicono tutt´altro. Quella zona grigia, genericamente simpatizzante, anche se quasi mai esplicitamente complice, che avvolgeva come una nebulosa protettiva i nuclei armati degli anni di piombo, si sta ricreando, anzi ha già una sua consistenza. In essa sono germinate le prime cellule di un possibile terrorismo, anche quelle sgominate prima che passassero all´azione.

Cogliendo con acutezza la pericolosità della piattaforma del “partito comunista politico-militare”, rivelata in seguito agli arresti, Loris Campetti sul “Manifesto” di ieri ha scritto: “È realistico pensare che chi operava nel sindacato e insieme progettava azioni terroristiche, ritenesse necessaria ma insufficiente la prima battaglia (quella sindacale, ndr) e dunque che si dovesse procedere anche lungo un altro sentiero. Ma non avevano detto che le due strade non si incontrano, anzi l´una cancella l´altra? Certo, ma forse non nella mente delirante di chi avrebbe fatto tale scelta”.
Un interrogativo che dovrebbero porsi in primo luogo i dirigenti della Fiom ma anche quelli della Cgil, se non vogliono ridurre Lama e Rossa a due santini davanti ai quali genuflettersi una tantum. Una riflessione cui sollecitare anche Fausto Bertinotti, il quale ha avuto sì il grande e coraggioso merito di fare della non violenza la propria bandiera, scontrandosi con il 40% del suo partito, ma che altresì, nell´abbracciare con speranza ecumenica i movimenti alternativi, sia pure per guidarli verso approdi riformistici più avanzati, ha probabilmente allargato troppo le braccia. Col pericolo di aver aperto la porta di una pericolosa convivenza non solo al berciante Caruso ma anche a qualche più silenzioso militante “a doppia faccia”.

Fonte: La Repubblica del 16 febbraio 2007

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