Ieri, solo una dozzina d’ore dopo lo straordinario exploit televisivo di Silvio Berlusconi dagli schermi de La7, Laura Puppato, capolista del Pd al Senato, non ha trovato di meglio che dichiarare in conferenza stampa: «Il Veneto deve essere presente nel governo del Paese». In molti hanno interpretato la sortita come un’autocandidatura e forse lo è, ma l’episodio è sicuramente rivelatore dell’umore che circola a sinistra. Si dà per scontata la vittoria e ci si posiziona per entrare nella lista dei ministri. Sottovalutando così la svolta impressa dal Cavaliere alla campagna elettorale. Come nel 2006 Berlusconi usò il convegno confindustriale di Vicenza per lanciarsi alla rincorsa di un Prodi già dato per trionfatore, così da Santoro il leader del centrodestra ha cambiato marcia. Nelle precedenti uscite televisive da Barbara D’Urso e Massimo Giletti il Cavaliere era parso rancoroso e imbolsito, giovedì sera invece con una trasformazione che ha del miracoloso è ridiventato il mattatore capace di inanellare gag, bugie e astuzie da vero uomo di spettacolo.
Vedremo se i sondaggi premieranno da subito la sua performance , di certo la serata è servita a motivare quegli elettori di centrodestra che, delusi dai risultati dei governi Berlusconi, pensano di astenersi. Ad oggi circa il 25% dell’intera platea elettorale dichiara che non voterà, almeno due quinti di loro però possono essere indotti a cambiare parere. È su questa inversione – che riguarderebbe per lo più suoi ex sostenitori – che punta il Cavaliere e aver strappato la vittoria nell’insidiosissima trasferta di Servizio Pubblico contribuisce a galvanizzare le truppe. Ciò non vuol dire che Berlusconi possa rimontare del tutto lo svantaggio, i suoi competitor però da domani faranno bene a comportarsi come se fosse possibile.
Il Pd rischia anch’esso di ripercorrere le orme del passato, replicare le campagne elettorali del ’94 e del 2006 iniziate disponendo di un largo vantaggio e poi perse o vinte con un margine striminzito. Come dimostra l’episodio della Puppato, a sinistra alberga un pericoloso sentimento di autosufficienza. Finora il Pd non è riuscito a imporre nell’agenda elettorale nemmeno un tema, ha subito l’offensiva sulle tasse e ha risposto promettendone di nuove o lasciando spazio alle bordate spaventa-ricchi di Nicola Vendola. Sempre per rimanere al confronto con il 2006 vale la pena di ricordare l’effetto negativo che ebbe per l’Unione la proposta di patrimoniale sulla casa avanzata da Fausto Bertinotti.
Probabilmente il Pd ha sottovalutato non solo le capacità di Berlusconi ma anche le inerzie di un sistema bipolare. Quel consistente pezzo di Italia che non vuole le sinistre al governo finora si era nascosto ed è bastato che sulla ribalta si affacciasse un’offerta politica vibrante per riaggregare tutti i pezzi del centrodestra andati precedentemente in frantumi. Da Lombardo alla Lega, da Formigoni a Tremonti. Il Pd finora è rimasto sorpreso, sul breve avrà la tentazione di dare la colpa alla ditta Santoro & Travaglio ma poi probabilmente capirà che in politica i vuoti vengono riempiti e che se si vogliono vincere le elezioni – e soprattutto convincere il Paese – occorre un supplemento di elaborazione. Programmatica ma anche di cultura politica. «Operai e capitale», il libro più importante di Mario Tronti, oggi candidato al Senato in Lombardia, uscì nel 1966. Nove anni prima che nascesse Matteo Renzi.
La sindrome di Vicenza
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