CI voleva uno straniero per metterci in guardia dalle illusioni. Ai numeri citati da Bill Emmott se ne possono aggiungere un paio di altri. Il tenore di vita degli italiani era già stagnante prima della crisi, ha continuato a calare nel 2010 nonostante la ripresa, e le previsioni non sanno dirci quando torneremo al livello massimo toccato 9 anni fa. Forse, dopo, parleremo di un quindicennio perduto. Vediamo: nei dati dell’Istat, il potere d’acquisto pro capite nel 2002 era un po’ sopra i 15.000 euro annui, ora è vicino ai 14.000. Ce ne siamo accorti? Tutti i governi tendono a sostenere che le cose vanno bene, e quando il loro potere sui media è grande, l’effetto è più forte. Non basta questa, tuttavia, come spiegazione. Bisogna riflettere su che tipo di crisi è stata la nostra, nel quadro mondiale: meno scioccante, forse perché avevamo già imparato a ridimensionare le attese, e a far conto sui beni che già abbiamo. In Italia è calato poco il valore delle case, componente principale del patrimonio familiare. I gruppi sociali più capaci di farsi sentire, dipendenti con posto fisso e autonomi, sono riusciti a cavarsela: i primi casomai con lunghi periodi di cassa integrazione, i secondi pagando meno tasse (lo dimostra l’andamento del gettito). A soffrire sono stati soprattutto i giovani; però chi ha chiamato i precari alla lotta non ha riempito le piazze. Nell’economia le crisi rompono vecchi equilibri e spingono ad innovare. Da noi invece le rigidità crescono: rendite di posizione, intrecci tra politica ed economia, sospetti di malaffare. Ne risulta una sfiducia che le cose si possano mutare. Sale il discredito delle forze politiche, sia di maggioranza sia di opposizione, senza che suscitino curiosità i tentativi di formarne di nuove. O possiamo consolarci dicendo che l’impressione di immobilità prevale proprio alla vigilia delle svolte?
Fonte: La Stampa del 27 aprile 2011La sfiducia può preludere a una svolta
L'autore: Stefano Lepri
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