Alla fine è arrivato il colpo di teatro. La nomina di Enrico Bondi a supercommissario per la spending review è una mossa che lascia il segno e che un governo politico non avrebbe mai attuato. La stima di Mario Monti per il manager aretino non è certo maturata nelle ultime ore, anzi a Roma si racconta che avesse già pensato a lui per la poltrona di Ragioniere generale dello Stato. Ma se alla fine ha rotto gli indugi e gli ha conferito ampi poteri per tagliare la spesa pubblica Monti deve aver concluso che cera bisogno di una scossa. Non si poteva andare avanti ancora per giorni e giorni a discutere, avallare il continuo rimpallo di responsabilità tra le varie amministrazioni e cera invece urgenza di un atto formale di discontinuità. La stessa volontà di cesura che si può ritrovare negli incarichi che il presidente del Consiglio ha voluto affidare a Giuliano Amato per aiutarlo a riformare i trasferimenti di denaro a partiti e sindacati e a Francesco Giavazzi per riordinare la selva degli incentivi pubblici alle imprese.
La missione di Bondi a questo punto è abbastanza chiara, deve agire più come un ombudsman dei contribuenti che come un ministro aggiunto e di conseguenza deve rimuovere le resistenze della burocrazia laddove con tutta evidenza esistono. Non è un mistero che la stessa Bce si interroghi sul perché la Ragioneria non fornisce tutto il supporto sperato in una fase estremamente complicata per la credibilità del Paese e per il giudizio dei mercati sulleffettiva bontà del risanamento avviato con la staffetta a Palazzo Chigi.
Potrà apparire singolare, e già ieri sera qualche politico lo ha maliziosamente sottolineato, che dei tecnici chiamino degli altri tecnici quasi per auto-commissariarsi. Ma il paradosso si spiega con la straordinaria metafora di Pietro Nenni che dopo lingresso del Psi al governo nel primo centrosinistra confessò candidamente di non aver trovato quei bottoni da premere per poter cambiare immediatamente il corso della politica. Con lingaggio di Bondi, Amato e Giavazzi è come se Monti confessasse lo stesso sentimento. Per tagliare davvero i nodi gordiani che legano strettamente amministrazione e spesa non bastano né la razionalità del discorso pubblico né la pedagogia europeista, ci vuole la spada. E che il premier sia giunto a questa conclusione, allesigenza di cambiar passo, lo segnalano anche i toni polemici che ha usato nella conferenza stampa nei confronti delle critiche mossegli in questi giorni da esponenti della vecchia maggioranza di governo.
Per evitare di aumentare lIva di altri due punti nellarco del 2012 deprimendo ancora più leconomia e le speranze di ripresa, il governo ha deciso di operare dal lato dei tagli e ha stimato la quantità necessaria in 4,2 miliardi. Lo sforzo è apprezzabile quanto il sentiero stretto. Toccherà a Bondi percorrerlo, rompere i vecchi riti della complicità tra amministrazione e rappresentanza dei lavoratori. Presentato da Monti come il miglior tagliatore di costi che lItalia possieda, Bondi è il primo a sapere che unimpresa privata controlla tutte le leve di spesa mentre purtroppo lo stesso non si può dire per Palazzo Chigi e per i ministeri. Ma proprio per questo sperare che non fallisca è il meno che si possa fare.
La scossa del professore
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