È LUNICA SOLUZIONE POSSIBILE AL PROBLEMA DELLA BASSA PRODUTTIVITÀ ITALIANA, CHE NON DIPENDE DAL POCO LAVORO MA DAL POCO VALORE DI CIÒ CHE SI PRODUCE.LA PROVA È CHE QUANDO QUESTO AVVIENE I RISULTATI SI VEDONO, DA PIRELLI AL CALZATURIERO.
Nel 1997 il Gruppo Fiat produceva in Italia oltre un milione 560 mila auto, nel 2012 ne ha prodotte 394 mila. Sempre nel 97, anno in cui la produzione ha raggiunto il suo massimo, la quota di Torino sul valore aggiunto realizzato dallintera economia italiana è stato dell1 per cento, sul settore manifatturiero del 4,6 per cento, sullexport complessivo del 4,2. Nel 2010 (ultimo anno per il quale esiste il dato sul contributo al valore aggiunto) la quota di Fiat è stata dello 0,6 per cento sullintero sistema e del 3,9 sul manifatturiero, mentre il contributo allexport italiano è stato del 3,5, sceso a 3,4 nei due anni successivi. E una discesa sostanziale, della quale il dato più clamoroso è quello sul crollo della produzione. Che però va interpretato, tenendo conto di due fattori. Il primo è che in questi sedici anni il gruppo ha costruito stabilimenti allestero, e quindi una parte importante della sua produzione si è spostata. Il secondo è che in quantità sia la produzione che lexport sono diminuiti in molti altri settori, dallabbigliamento alle calzature allarredamento, in parte anche alla meccanica. Ma tra questi settori e la Fiat cè una differenza: nellabbigliamento, nelle calzature, nel mobile e nella meccanica è diminuito il numero dei prezzi prodotti ed esportati, ma è aumentato il loro valore. Nel caso della Fiat questo non è avvenuto. E la storia dellItalia produttiva dalla fase di preparazione alleuro e poi della nascita delleuro ad oggi. Quella che ci consente di avere ancora una capacità di vendere in tutto il mondo i nostri prodotti e che consente ad un pezzo delleconomia del paese di reggere assai bene ai colpi della crisi. Questa storia racconta un particolare tipo di crescita della produttività, fatta non aumentando il numero dei pezzi prodotti ma aumentandone il valore. Nei primi anni 2000 anche lIstat aveva frainteso, pensando che le aziende italiane vendevano meno oltre confine e per stare a galla avevano aumentato i prezzi. La verità, che poi anche lIstituto di Statistica ha riconosciuto, era invece che le imprese che facevano scarpe continuavano a fare scarpe, ma non erano più le scarpe di prima, erano modelli che per materiali, design, cura produttiva e marchio avevano un valore superiore che veniva loro riconosciuto dal mercato. Per reggere alla globalizzazione e alla valuta forte, la manifattura italiana, o almeno una parte di essa, aveva cambiato pelle, continuando ad operare nei suoi settori tradizionali ma cambiando le caratteristiche del prodotto in modo da aumentarne il valore. Perché quello era lunico modo di poter reggere e crescere con una struttura di costi da paese industrializzato e affluente in un mondo che nel frattempo era cambiato. Questa trasformazione è avvenuta perlopiù in settori specialistici e di nicchia, ad opera di aziende medie che hanno scalato, ciascuna nel suo settore, lalto di gamma, cambiando in alcuni casi anche natura. Il distretto lombardo del valvolame, per fare un esempio, non potendo reggere alla concorrenza cinese sui prodotti di base, ora produce ed esporta sistemi complessi per lidraulica e il riscaldamento degli edifici. Il distretto delle macchine per imballaggio di Bologna, per fare un altro esempio, ha conquistato la sua leadership mondiale con la sua capacità di fare macchine su misura per le esigenze dei committenti, che impacchettano, sigarette, tè o medicinali più velocemente, che durano di più e che sono teleassistite in qualunque parte del mondo 24 ore su 24. Nei settori di massa uno dei casi di successo è quello della Pirelli, che in Europa ha abbandonato le produzioni più economiche per concentrarsi in termini di ricerca e produzione nei pneumatici per le auto di alta gamma, dalle Ferrari alle Bmw, dalle Porsche alle Audi, mentre continua a produrre lintera gamma in America Latina, dove è leader di un mercato che ha caratteristiche diverse rispetto a quello europeo, e dove la quantità serve a dare efficienza e massa critica anche ai fini della ricerca allintero gruppo. Laumento della produttività di cui lItalia ha disperatamente bisogno perché solo una parte della sua economia ha tenuto il passo del mondo, mentre il manifatturiero domestico, i settori protetti, i servizi e la pubblica amministrazione sono andati indietro – si può infatti perseguire in vari modi. Lobiettivo è aumentare il valore prodotto e lo si può fare facendo più cose dello stesso valore con meno lavoro e meno capitale, oppure aumentando il valore delle cose prodotte. La strada più adatta per un paese che ha raggiunto un elevato tenore di vita e che ha le caratteristiche dellItalia sembra essere questultima. Per far sì che unora lavorata venga pagata quanto lo è stata fino ad ora, anzi possibilmente di più, bisogna che quellora produca un valore più alto. Poi ci vuole un ulteriore salto, reso possibile dallampliamento dei mercati internazionali, e fare in modo che a lavorare con salari adeguati sia un numero maggiore di persone. Questa è la partita che alcuni hanno giocato ed altri no, e che invece è il momento che la giochino tutti. Per correggere il più rapidamente possibile i numeri seguenti: fatto cento il pil per unora di lavoro negli Stati Uniti, esso è pari a 92 in Germania, 99 in Francia, 81 nel Regno Unito e 75 in Italia. Da questa differenza ne deriva unaltra, che benché in Italia si lavorino più ore che in Francia e in Germania, il prodotto lordo pro capite è significativamente più basso. Siamo più poveri non perché lavoriamo di meno, che anzi lavoriamo di più, ma perché vale meno quello che produciamo. La Fiat è un caso emblematico. Al contrario di quanto accaduto in altri settori, certo meno complessi, alla diminuzione dei pezzi prodotti in Italia non è corrisposto un aumento del loro valore. Oggi il prezzo medio di unauto del gruppo Fiat è considerevolmente più basso non solo di quello dei produttori tedeschi, ma anche di quello dei più comparabili francesi. Marchionne ora sembra aver deciso di accettare la sfida, di alzare con Alfa, 500 e Maserati, il valore medio delle auto prodotte in Italia e di fare massa con produzioni low cost dove la struttura dei costi è più bassa. E la strategia giusta, ma è difficilissima, perché cè da risalire una china ripida dopo troppi anni in cui non si è investito nel prodotto. Una linea di produzione di pneumatici Pirelli: il gruppo ha puntato in Europa sui prodotti di alto livello Sopra, Alberto Vacchi presidente dellIma azienda leader della Packaging Valley emiliana
la scommessa di Torino puntare sul Made in italy per scalare l’alta di gamma
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