• venerdì , 22 Novembre 2024

La rivoluzione del gas quasi da nessuno percepita

COME è possibile che avvenga nel mondo una innovazione scientifica straordinaria senza che l’opinione pubblica ne percepisca pienamente la portata e di essa si discuta solo nell’ambito professionale di un settore, per quanto importante,quello dell’energia? Od anche,in altri ambienti politicamente avvertiti ma solo per l’interesse suscitato da nuove indiscrezioni approfondite da WikiLeaks,da Repubblica e dal Corriere sui favoritismi politici ed economici di Berlusconi nei confronti di Putin.
La domanda però resta per quanto riguarda l’innovazione sottostante.Ma vengo al fatto che descriverò sommariamente sulla base di due discorsi,uno dell’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, pronunciato a Milano il 29/11 us, l’altro, tenuto recentemente a Montréal,al Congresso mondiale dell’Energia,dal presidente del World Energy Council per l’Italia, Alessandro Clerici.Tema l’impiego massiccio di «un terzo idrocarburo (dopo il petrolio e il metano),lo shale gas,all’origine di una vera e propria rivoluzione nel mondo dell’energia,che ha sconvolto il mercato, determinando cambiamenti economici e geopolitici tali da rappresentare davvero una terza via energetica» (Scaroni).Eppure si tratta di un gas, estratto dagli scisti,una pietra porosa che si trova all’incirca a 1000 m. di profondità,conosciuto in America fin dal 1821 e da allora estratto attraverso pozzi verticali da piccole imprese locali, dissuase, però, da uno sfruttamento più intensivo,per i costi troppo elevati.Fino al giorno in cui nel 2008,cioè poco più di due anni orsono,all’Henry Hub, la borsa del gas americana,le quotazioni del metano (liquefatto o allo stato gassoso) crebbero di quattro volte,rispetto al 2000.Poco tempo prima,il capo della Fed, Greespan, aveva gettato l’allarme annunciando che nello spazio di poco tempo gli Usa non sarebbero più stati autosufficienti per garantire il fabbisogno energetico nazionale di metano: di qui la necessità di importare grandi quantità di gas liquido dal Medio Oriente ed altre fonti e di varare un vasto piano di rigassificatori.A questo punto le grandi compagnie si ricordarono dello shale gas e con grande impegno vennero studiate nuove tecnologie di estrazione.Entrarono presto a regime gallerie orizzontali lunghe almeno 2000 metri entro le quali pompare acqua bollente ad altissima pressione che faceva emergere in superficie il gas, compresso nelle rocce argillose.La posta in gioco si rivelò subito enorme:venne valutato che negli Usa, diventato immediatamente il primo produttore al mondo gas,vi erano 100 tcm (trilioni di m. cubi),sufficienti a garantire il fabbisogno industriale e familiare del Paese per i prossimi 50 anni!
Il prezzo si è così rapidamente più che dimezzato con conseguente caduta di quello dell’energia elettrica. L’ondata si è ripercossa anche negli altri continenti perché sono cessate improvvisamente le importazioni americane di gas liquefatto.Le metaniere che lo trasportavano «vagano oggi per i mari di mezzo mondo alla ricerca di acquirenti spot».Le nuove offerte hanno messo in crisi la struttura tradizionale del mercato del gas europeo,caratterizzata da contratti a lungo termine,legati al prezzo del petrolio.Anche il trasporto per gasdotto è condizionato dalla struttura dei prezzi.Gli operatori storici con in testa l’Eni (che ha acquistato intanto piccoli impianti shalegas in America soprattutto per acquisire le nuove tecnologie)stanno rattando con i loro altrettanto storici fornitori (Russia, Algeria, Norvegia) per trovare un nuovo livello di prezzi che possa competere con lo shale gas spot di provenienza americana.Non è facile.L’Edison ha già citato davanti alla Corte internazionale di Bruxelles la Gazprom per imporre la revisione di contratti ormai “iniqui e spropositati”. Un ultimo, tra i
tanti interrogativi: le fonti alternative (vento, sole, ecc.) si trovano oggi con prezzi ancora più spiazzati. Chi pagherà altri pubblici incentivi, oltre a una “tassa Putin” in bolletta?

Fonte: Repubblica del 20 dicembre 2010

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