• domenica , 22 Dicembre 2024

La “ricetta Wisconsin”fa scuola negli Usa. Sindacati in piazza

Il no dei governatori ai contratti collettivi.
Dopo i deputati democratici del Wisconsin, anche quelli dell’ Indiana sono scappati in Illinois per impedire al Parlamento locale di votare una legge che elimina la contrattazione collettiva nel pubblico impiego (resterebbe solo per la negoziazione del salario minimo). Una misura analoga è in discussione anche in Ohio. Qui i democratici non disertano perché la maggioranza repubblicana è molto ampia e loro non hanno la possibilità numerica di far mancare il «quorum» nelle votazioni. In un Paese nel quale i cortei di protesta non sono frequenti, ieri i sindacati hanno fatto scendere in piazza i lavoratori a New York, Los Angeles, in Pennsylvania e in Georgia: una vera mobilitazione nel timore che l’ attacco ai diritti di negoziazione iniziato una settimana fa in Wisconsin si allarghi a tutto il Paese e si estenda dal pubblico impiego al settore privato. L’ Indiana, infatti, si accinge a discutere una seconda legge che consente ai dipendenti delle aziende private di non pagare i contributi sindacali anche quando hanno deciso con un referendum di farsi rappresentare dalle «unions». «I sindacati sono davanti alla più grossa sfida al loro potere politico e finanziario da quando Ronald Reagan mise alle corde i controllori di volo, trent’ anni fa», ha scritto ieri in prima pagina il Wall Street Journal, organi della comunità finanziaria e dei conservatori. Giorno dopo giorno l’ incendio della battaglia sulla contrattazione collettiva si allarga ed è sempre più difficile distinguere le mosse giustificate dalla pratica impossibilità per amministrazioni locali ormai impoverite di far fronte a tutti gli impegni contrattuali coi loro dipendenti e coi pensionati, dall’ offensiva politico-ideologica alimentata da grandi capitalisti del fronte conservatore come i fratelli Koch. I due miliardari, principali finanziatori del movimento dei «Tea Party», sono stati anche i principali «sponsor» dell’ elezione del nuovo governatore del Wisconsin, Scott Walker. Ora, con le scuole dello Stato paralizzate dallo sciopero degli insegnanti e lo «State Capitol» di Madison circondato da giorni dai lavoratori che protestano, cominciano le contromanifestazioni dei «Tea Party» che accusano: «Avete abbandonato il posto di lavoro, tornate a educare i nostri figli». Anche qui è difficile tracciare una linea precisa tra l’ offensiva ideologica e scelte politiche giustificate dal reale disagio dei cittadini e da una trasformazione dell’ economia che impone anche una dolorosa revisione dei meccanismi di contrattazione. I sindacati Usa, ormai ridotti a rappresentare l’ 11,9 per cento dei lavoratori a livello nazionale rispetto al 36 per cento di mezzo secolo fa, considerano quello iniziato una settimana fa l’ attacco finale che minaccia la loro stessa sopravvivenza. Un attacco che prende di mira soprattutto il pubblico impiego, dove ancora oggi un lavoratore su tre è sindacalizzato (mentre nel settore privato la rappresentanza è scesa sotto il 7 per cento). Di questo sono convinti anche i democratici e lo stesso Obama, sceso in campo contro il governatore Walker. Che, però, nonostante la durezza delle sue mosse, si è guadagnato attenzione e un certo rispetto anche dai giornali della sinistra visto che sta facendo le cose promesse in campagna elettorale e per la chiarezza del suo messaggio: «Non aumento le tasse di dipendenti privati già in difficoltà per garantire trattamenti assai più generosi al pubblico impiego». I progressisti ammettono che, col Paese che si impoverisce e il gettito tributario locale che continua a ridursi, mantenere in piedi il vecchio sistema di garanzie economiche non è più possibile, ma accusano Walker di aver continuato sulla linea dura della soppressione dei diritti anche quando i sindacati, spaventati, si sono detti pronti a negoziare. Si riuscirà a controllante l’ incendio prima che investa Washington? Se non si abbassano i toni e se non cessa il «muro contro muro» tra democratici e repubblicani, sarà difficile raggiungere il compromesso sul tetto del deficit federale senza il quale tra poco più di una settimana il governo Obama sarà costretto ad abbassare la saracinesca su molte sue attività. Sarebbe un trauma politico ed economico.La prudenza di alcuni governatori conservatori e le dichiarazioni dello «speaker« repubblicano della Camera, John Boehner – dure ma con qualche apertura – indicano che spazi di dialogo ci sono ancora.

Fonte: Corriere della Sera del 24 febbraio 2011

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