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La ragione prima dell’abisso

Accedi a My L’orlo del burrone è stato ancora una volta il luogo della ragione ritrovata. In un vertice straordinario convocato dieci giorni dopo che la cancelliera Merkel aveva già rimandato tutti a settembre, i Paesi dell’euroarea hanno saputo mettere insieme una risposta più forte del previsto alla crisi che stava travolgendo la moneta unica. L’attacco all’Italia ha rappresentato la soglia del precipizio che ha spaventato e risvegliato l’Europa. In considerazione di ciò è difficile esprimere un commento sereno sul fatto che proprio il presidente Berlusconi si sia presentato a Bruxelles ieri in ritardo a vertice già iniziato. Nondimeno, la rapida risposta fiscale italiana e quella istituzionale europea hanno rappresentato, nel loro insieme e su piani diversi, il possibile punto di svolta della crisi per l’intera Europa.
Resta aperta una grossa incognita sulle conseguenze di un possibile ricorso a un “default lampo” per la Grecia. Ma a parte ciò, l’accordo di ieri affronta buona parte dei problemi che stavano affondando l’euro.
Il nuovo piano di aiuti alla Grecia rinuncia agli elementi punitivi delle prime versioni e diventa più credibile. Inoltre l’Efsf, il fondo europeo di stabilità finanziaria, assume un ruolo nuovo che apre orizzonti comuni interessanti, attribuisce ai Governi gli interventi sui mercati finora a carico della Bce e può configurare l’istituzione di un fondo monetario europeo in grado d’intervenire su crisi di liquidità, come quelle che minacciano Italia e Spagna, prima che esse diventino incontrollabili e sfocino in crisi di solvibilità.
Si tratta di soluzioni che erano state discusse già tra il febbraio e il maggio 2010 e che erano state bocciate ancora a fine marzo di quest’anno. Adottate un anno fa avrebbero chiuso anticipatamente questa lunga e pericolosa odissea. Ora aiutano a superare la fase acuta. Ma per avere successo richiedono ancora una “manutenzione” continua sul debito della periferia e decisioni istituzionali non facili di cui ieri non si è parlato e attorno alle quali nei prossimi mesi potrà prendere corpo una nuova integrazione economica e politica europea.
Alla Grecia verranno forniti i fondi necessari a coprire il fabbisogno fino al 2014. L’ammontare totale dipende dal contributo dei creditori privati ancora da concordare. Sulla forma di questo contributo pesa la possibilità che faccia scattare un default selettivo del debito greco. Si pensa a un default di brevissima durata, ma gli effetti di contagio che ne potrebbero scaturire rappresentano comunque l’incognita più pesante lasciata aperta dall’accordo di ieri. La bozza del comunicato circolata si affanna infatti a sottolineare l’unicità del caso greco, per segnalare che nessun altro Paese deve incorrere in un default.
Le scadenze dei fondi alla Grecia saranno allungate a 15 anni e i costi dei finanziamenti saranno sostanzialmente ridotti (al 3,5% anziché al 4,5-5,8%) e portati finalmente in linea con quelli che la stessa Ue fornisce ai Paesi non euro (Lettonia, Romania e Ungheria) o ai Paesi non europei nell’ambito dell'”assistenza macrofinanziaria”. Il miglioramento delle condizioni dei prestiti fa pulizia dei paletti che Berlino riteneva indispensabili per evitare contestazioni costituzionali sulla violazione dei Trattati e della clausola di “non salvataggio”. Si riscopre così una dimensione solidale degli aiuti tra Paesi che hanno toccato con mano la loro interdipendenza. In cambio di ciò l’Ue interverrà direttamente nell’uso in Grecia dei fondi strutturali europei che verranno orientati a investimenti produttivi. Uno scambio analogo vale per l’Irlanda che accetta di cooperare sull’armonizzazione fiscale in cambio di finanziamenti a tassi molto ridotti. Nel complesso si tratta dello sviluppo di una politica economica coordinata, a scapito delle sovranità nazionali.
Anche Parigi,come Berlino, ha dovuto rinunciare a qualcosa. È stata rimossa infatti la proposta francese di una tassa sulle banche dell’euroarea che mancava di basi giuridiche comuni e che rappresentava un trucco per distribuire sulle banche degli altri Paesi il contributo richiesto agli istituti – prevalentemente francesi – esposti in crediti verso la Grecia.
Ma in prospettiva le novità maggiori riguardano il ruolo del Fondo di stabilità finanziaria che dovrà essere ridefinito a settembre attraverso le ratifiche dei Parlamenti. Poter varare aiuti precauzionali significa rendere concreta la sorveglianza attiva sulle politiche economiche dei Paesi dell’euro ben prima che scattino condizioni di crisi. La sorveglianza attiva si applicherà anche allo stato dei sistemi bancari a cui sarà possibile estendere programmi di ricapitalizzazione. Inoltre, consentire al fondo di stabilità d’intervenire sul mercato secondario dei titoli pubblici significa liberare la Bce da compiti propri della politica fiscale e attenuarne la resistenza al finanziamento delle banche greche in caso di default grazie al fatto che le banche offriranno collaterale, emesso dall’Efsf. Le perdite sarebbero a carico dei Governi e non della stessa Bce. Ma agire regolarmente sul mercato secondario per l’Efsf significa anche istituire l’embrione di un’agenzia del debito europeo. In tale contesto allineare i tassi applicati agli aiuti per i Paesi deboli al costo del finanziamento dei paesi a “Tripla A” elimina un ostacolo pratico e concettuale all’uso degli eurobond come strumenti di finanziamento comune del fondo di stabilità. L’emissione di eurobond fornirebbe al fondo di stabilità le risorse necessarie – e ora mancanti – per affrontare una crisi italiana o spagnola.

Perché questi sviluppi siano credibili tuttavia il Fondo Efsf andrà ridisegnato. Attualmente non ha personalità giuridica (a differenza del successore Esm che entrerà in vigore dal 2013) né capitale proprio e le garanzie che offre non sono comuni, ma bilaterali e “pro-quota”. L’Efsf non rappresenta quindi per ora quel “filtro istituzionale europeo” che è necessario interporre tra gli aiuti ai Paesi in crisi e il debito degli Stati nazionali affinché l’eventuale sostegno a Paesi come Italia o Spagna non si scarichi sul debito pubblico degli altri Paesi, diventando potenzialmente insostenibile e perdendo credibilità. Una volta risolti i problemi giuridici nella riforma dell’Efsf, quelli relativi al rischio di default indotto dal coinvolgimento dei privati e quelli politici sul varo degli eurobond, l’insieme della risposta apparirà coerente e forte.

Fonte: Sole 24 Ore del 22 luglio 2011

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