E’bastato che una «riserva della Repubblica» come Giuliano Amato ed un economista come Pellegrino Capaldo, evocassero lo spettro d una imposta sui patrimoni perché il tema finisse al centro del dibattito, benché nessuna delle più importanti forze politiche se ne fosse assunta la paternità. Silvio Berlusconi ha avuto buon gioco a mettere in imbarazzo le opposizioni, perché il mito della «patrimoniale» fa parte del dna della sinistra. Al di là dei tatticismi e delle questioni di principio ben pochi (è lodevole l’eccezione di Luca Rico) si sono posti il vero problema: sarebbe davvero efficace un’imposta sfatta allo scopo dichiarato di ridurre drasticamente il debito pubblico e liberare, così, preziose risorse ora impiegate per remunerare gli interessi da destinare allo sviluppo?
BASTEREBBE mettere a confronto gli introiti ipotizzati (qualcuno si è spinto fino ad immaginare un gettito di 200 miliardi) con la struttura del prelievo fiscale, per rendersi conto di unuzzle dove i pezzi non combaciano. Infatti, per poter raccogliere un montante utile a intaccare in modo significativo il debito, anche in una prospettiva poliennale, il Fisco non dovrebbe mostrare pietà per nessuno, per quanto basso sia il suo reddito, limitati i suoi risparmi, modesta la sua abitazione. Chi mai oserebbe sparare nel mucchio? Si parla, infatti, di esentare la prima casa e i titoli di Stato, nonché di individuare una franchigia oltre la quale agirebbe la «patrimoniale». Così, però, si ridurrebbe di gran lunga il gettito. Basti pensare che, anni or sono, quando si ragionò concretamente (ai tempi del primo Governo Prodi, su richiesta del Prc) della introduzione di una «patrimoniale» corredata delle cautele sopracitate, venne stimato un gettito pari a 2.500 miliardi di vecchie lire.
TRADOTTO in euro si tratterebbe pur sempre di un apporto importante, tale pero da non modificare, se non in una prospettiva di decenni, la massa critica del debito pubblico. Si dice allora che occorre aggredire i grandi patrimoni. Dimenticando un particolare: che prima bisognerebbe stanarli. Altrimenti si andrebbe a mettere, al solito, le mani nelle tasche del ceto medio in regola con il fisco. Quando il Pd propose di sottoporre a un’imposta straordinaria i redditi superiori a 120mila euro annui, si scopri che si trattava, più o meno, di 200mila contribuenti, composti per il 70 per cento circa da lavoratori dipendenti e pensionati, sui quali già pesava una quota sproporzionata del prelievo complessivo.
La patrimoniale, un mito inutile nel dna di sinistra
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