• giovedì , 26 Dicembre 2024

La paralisi dell’euro

In una giornata nera iniziata con la notizia del declassamento del debito italiano da parte di Standard & Poor’s – che per quanto atteso e quindi già scontato dai mercati, un suo peso ce l’ha – e proseguita con lo spread trai nostri Btp e i bund tedeschi volato a 400 punti e con i credit default swaps (cds), ossia i contratti con cui gli investitori si assicurano contro il fallimento di un Paese, balzati al massimo storico di 520 punti, ieri l’unica consolazione ci è venuta dai cinesi. Sì, proprio i grandi protagonisti di quel processo di globalizzazione che ha tagliato le gambe a buona parte dell’economia europea, hanno tenuto a far sapere che ci penseranno loro a sostenere il Vecchio Continente e la sua fragile costruzione monetaria comune: “abbiamo sempre fiducia nell’Eurozona, sosteniamo le misure adottate dai paesi Ue e continuiamo a vedere nell’Europa uno dei principali mercati per i nostri investimenti”. Insomma, la Grecia ormai ad un millimetro dal default e gli altri paesi in crisi, Italia in testa, mettono in forse non solo la tenuta ma l’esistenza dell’euro, ma la Cina comprando i titoli dei debiti pubblici europei, così come ha fatto negli Stati Uniti, può essere la ciambella di salvataggio che Bce e governi continentali non riescono ad essere più di tanto. L’eurosistema, infatti, è pressoché paralizzato da un infinito ping-pong tra i governi dei paesi in difficoltà – che non vogliono pagare i prezzi politici dei risanamenti, e che quando acconsentono a misure drastiche lasciano le cose a metà (vedi la manovra di corto respiro che dopo un indecoroso balletto l’Italia ha varato) – e l’accoppiata del rigore Bce-Germania, a sua volta divisa tra falchi e colombe, e comunque priva di strumenti coercitivi per obbligare chi si è preso degli impegni a rispettarli. I tedeschi si considerano formiche che non vogliono più pagare il conto delle cicale che hanno vissuto al di sopra delle possibilità. Ma avrebbero un danno enorme dai default di paesi i cui titoli sono nei portafogli delle loro banche, e ancor di più dal fallimento dell’euro. Greci, portoghesi, italiani e spagnoli hanno accettato i diktat sulle politiche di risanamento che devono fare, ma stentano ad andare fino in fondo e fanno affidamento sul fatto che la Bce sostengano i loro titoli di Stato comprandoli sul mercato secondario come ha fatto questa estate.
Senza un accordo vero, la moneta unica è davvero in pericolo, e farne dipendere la sopravvivenza dai cinesi non sarebbe comunque la soluzione.
Come uscirne? Nel brevissimo, spostando l’obiettivo delle politiche di rigore dai deficit, che richiedono misure congiunturali di fatto recessive, ai debiti, che consentono provvedimenti strutturali coniugabili con politiche di investimento e sviluppo. Nel breve-medio, cominciando a costruire quello stato federale, gli Stati Uniti d’Europa, che doveva essere fatto insieme all’euro e la cui mancanza è il motivo vero della intrinseca debolezza della moneta unica. Troppo difficile? E allora rassegniamoci. I cinesi fanno comodo, ma alla fine sono solo un palliativo.

Fonte: La Sicilia del 21 settembre 2011

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