• domenica , 22 Dicembre 2024

La neurologia delle pensioni

di Giuseppe Pennisi

L’annuncio di una riforma dei trattamenti genera incertezza. L’incertezza frena l’economia reale e preoccupa i mercati. Dopo l’annuncio di una riforma delle pensioni lo spread aumenta e nell’arco di qualche giorno si registrano stime al ribasso dell’andamento economico, e al rialzo del tasso di disoccupazione.

Il vice presidente del Consiglio e ministro del Lavoro Luigi Di Maio dovrebbe o passare le meritate ferie estive a studiare la neuro-economia oppure prendere un paio di consiglieri esperti della materia. Di cosa si tratta? Dell’impiego in economia di analisi tipiche della neurologia. Non è certo una novità. È una filiazione dell’ “economia dei sentimenti” e dell’”economia dell’informazione”. Maestri di queste discipline (Hayek, Becker, Sen, Akerlof, Stiglitz, Spence ) sono stati coronati da Premi Nobel. Ai tempi del governo Letta, il suo predecessore Enrico Giovannini venne convinto a soprassedere su un progetto di riforma delle pensioni durante una colazione con colleghi economisti che sciorinarono teoremi (ed esempi concreti) di neuro-economia applicata alla previdenza: la conclusione fu meglio piccoli passi (come ritocchi alla cosiddetta Legge Fornero) che un riassetto di vasto spessore.

Perché la pensioni riguardano tutti i cittadini in quanto tutti sono pensionandi o pensionati o nipoti che studiano grazie alle pensioni dei nonni (i pensionati italiani, se possono, dedicano un quarto del loro assegno a figli e nipoti, dopo avere contribuito egregiamente al gettito tributario). L’annuncio stesso di una riforma dei trattamenti genera incertezza. L’incertezza frena l’economia reale e preoccupa i mercati: il ministro ha certamente notato che ogni volta che ha annunciato una riforma delle pensioni lo spread è aumentato e nell’arco di qualche giorno i centri studi italiani ed internazionali hanno pubblicato stime al ribasso dell’andamento economico, ed al rialzo del tasso di disoccupazione. A Napoli e dintorni – non è vero ma ci credo – ormai si dice che parlare di pensioni porta sfortuna.

Nel 1995, la Svezia ha varato una riforma delle pensioni – passaggio dal calcolo retributivo al calcolo contributivo – quasi identica a quella effettuata nello stesso periodo in Italia e da allora ha fatto ritocchi solo minimi. Perché? Nel Regno dove si conferiscono i Premi Nobel si conosce a fondo la neurologia delle pensioni e la priorità è crescere senza scossoni, evitando fibrillazioni o peggio ictus od ancora peggio infarti al sistema economico. È un esempio da seguire. Invece, Argentina, Brasile e Venezuela hanno varato riforme delle pensioni ogni due anni: veda il vice presidente del Consiglio e ministro del Lavoro in che situazione stanno e che fine hanno fatto gli autori di tali riforme.

Senza dubbio le energie del ministero, e dell’Inps, verrebbero impiegate meglio in un attento lavoro contabile per separare previdenza (le pensioni sono frutto di contributi ed accantonamenti per la vecchiaia) ed assistenza (che dovrebbe essere a carico della fiscalità generale); ad esempio, l’integrazione al minimo per coloro che non hanno mai accantonato o quasi costa 21 miliardi l’anno e per le pensioni baby si versano 9 miliardi a fronte di 2 miliardi di contributi pagati nel lontano passato. Infine per i ferrovieri ed i post-telegrafonici si mettono in bilancio 5 miliardi l’anno per colmare la differenza tra trattamenti e prestazioni. Tutte pensioni di diamante non d’oro. Insomma, almeno 33 miliardi con cui integrare il reddito di inserimento e farlo diventare reddito di cittadinanza.

C’è, poi, un altro aspetto importante. La disciplina economica del public choice – richiamata implicitamente da Angelo Panebianco nel Corriere della Sera del 27 luglio – ricorda che alla base della scelte politiche non c’è tanto il consenso quale ricavato dai sondaggi ma il supporto di gruppi organizzati. Panebianco sottolinea anche che due gruppi organizzati sembrano essere tra i pilastri dell’esecutivo gialloverde: magistratura ed alta dirigenza della Pubblica amministrazione. Sono due pilastri che stanno rivedendo le loro scelte, dopo i ripetuti attacchi ai pensionati d’oro – coloro con una pensione che supera i 4mila euro netti al mese (a fronte della quale sono stati pagati lauti contributi).

L’associazione Leonida che ha annunciato che ha predisposto, in caso di provvedimenti punitivi, centomila ricorsi sino alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, è composta in gran parte di dirigenti pubblici, magistrati e militari. Tanto che alcuni suoi convegni sono organizzati alla Casa dell’Aviatore nei pressi dell’Università La Sapienza.

Perché inimicarseli tutti? Ben sapendo che un contributo di solidarietà, o misura simile, farebbe impennare lo spread e sarebbe probabilmente bocciato dalla Corte Costituzionale?

Fonte: Da Formiche del 30 luglio 2018

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