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La maschera europea

A tutti gli effetti la Grecia è, e rimarrà a lungo, in una situazione di insolvenza: senza i prestiti erogati dagli Stati dell’area dell’euro e dal Fmi non sarebbe in grado di finanziare il bilancio pubblico e il servizio del debito.
A quei prestiti era collegato un severo piano di aggiustamento fiscale, che, si sperava, avrebbe consentito un ritorno a emissioni sul mercato dal 2012. Gli obiettivi non sono stati raggiunti, sia per incapacità tecnica e politica di attuare i provvedimenti necessari, sia per il peggioramento della situazione economica; persiste un disavanzo al netto degli interessi; per almeno altri due-tre anni la Grecia, da sé, non sarà in grado di provvedere al suo fabbisogno e di rinnovare il debito in scadenza.
In un altro emisfero, in un altro continente e senza il reticolo di una unione monetaria il caso sarebbe stato considerato senza speranza e si sarebbe lasciato che il paese fallisse, con esiti politicamente esplosivi, ma non necessariamente negativi nel medio periodo: la chiusura del mercato obbligherebbe ad azzerare il disavanzo; la svalutazione del cambio, restituendo fiato a un’economia non più competitiva, compenserebbe in parte gli effetti recessivi della stretta, come avvenne in Italia nel 1993. Ma la Grecia è nel nostro emisfero, è uno Stato membro dell’Unione Europea, ha l’euro come sua moneta, con una banca centrale collocata a Francoforte e ha un sistema finanziario connesso con quello di altri paesi. Mancando la possibilità di cedere alle tentazioni peccaminose di una svalutazione o del finanziamento monetario di una propria banca centrale, il costo di rinnegare in tutto o in parte i propri debiti sarebbe elevatissimo.
Ma perché mai gli altri paesi dovrebbero continuare a finanziare un paese carico di colpe passate (anni di menzogne sulla situazione dei conti pubblici), in situazione fallimentare, con un pesante disavanzo con l’estero e incapace tecnicamente e politicamente di attuare in breve tempo l’aggiustamento necessario? La ragione ce la dicono chiaramente i maggiorenti della Banca Centrale Europea: la minuscola Grecia, se cade, provoca guai grossi. Se la situazione di insolvenza viene sancita con un evento di default (mancata restituzione o conversione forzosa dei debiti), tutta la carta greca, pubblica e privata, perde di valore. La Bce ha una cinquantina di miliardi di titoli greci in portafoglio e un centinaio in garanzia per le operazioni di rifinanziamento alle banche: la perdita in conto capitale potrebbe rendere necessaria una ricapitalizzazione a carico dei paesi membri. Il sistema bancario greco, già abbandonato da molti depositanti, chiuderebbe di fatto i battenti, mancando di garanzie accettabili per essere finanziato dalla Bce. Le banche europee subirebbero perdite difficili da calcolare, ma non inferiori a molte decine di miliardi a motivo di una loro esposizione al rischio greco, sia diretta, sui titoli pubblici e privati e sui crediti, sia indiretta, attraverso complicate operazioni di finanza derivata basate sui Cds e messe su dalle grandi banche d’affari. Con la caduta del piccolo Sansone i grandi Filistei potrebbero farsi assai male.
I potenti d’Europa, e quelli di Washington, riconoscendo queste “esternalità” delle vicende greche e prendendo atto dell’impossibilità che la Grecia possa tornare all’onor del mondo prima di qualche anno, dovrebbero mettersi intorno a un tavolo per definire una strategia di medio periodo di impegno finanziario, magari subordinata a un’implicita cessione temporanea di sovranità da parte del paese debitore. Si darebbe qualche certezza a quel paese e, soprattutto, ai mercati, che saprebbero dove si va a parare. Manco per niente: sin dall’inizio vi sono stati paesi, come la Germania, che devono dire quattro no per poi biascicare alla fine un rancoroso sì. Oggi, la Germania, per ragioni di politica interna, chiede che anche i creditori privati della Grecia sopportino una parte dell’onere. Giusto in astratto, difficile in pratica. Qualsiasi operazione di ristrutturazione che implichi un elemento di coazione e avvenga a condizioni non di mercato potrebbe essere definita dalle sedi specializzate come evento di default, così scatenando tutte le conseguenze che si volevano evitare; d’altra parte un coinvolgimento dei creditori privati a condizioni di mercato (che riconoscano il violento aumento dei tassi d’interesse) non sarebbe sostenibile dal debitore.
Azzardo una scommessa. Si continuerà a intervenire per tenere il naso della Grecia appena fuori dall’acqua, onde impedirle di affogare. Lo si farà all’ultimo momento, ogni volta litigando e recriminando. E in tal modo si ridurranno i benefici di qualsiasi operazione di sostegno, poiché i mercati continuerebbero a restare nell’incertezza, e se ne aumenteranno i costi politici, sia in Grecia, sia in quel che resta dell’Europa.

Fonte: Repubblica del 17 giugno 2011

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