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La Manovra sbarca in Senato sotto l’occhio vigile di Tremonti

La manovra arriva in Aula al Senato. Il Governo porrà la questione di fiducia, al solito, su di un maxi-emendamento alla cui stesura stanno lavorando il ministro Tremonti e i suoi più stretti collaboratori. Prima di chiudere il testo, venerdì scorso, il premier e il superministro hanno incontrato i Governatori, ma non sono stati superati i motivi di contrasto.
I “retroscenisti” dei quotidiani hanno raccontato di un presidente del Consiglio orientato alla mediazione, guardato a vista da Giulio Tremonti, il quale alla fine è riuscito a far passare la sua linea, sia pure aprendosi a qualche concessione a favore degli enti locali. Non poteva che finire così. La “ribellione” delle Regioni è stata sicuramente una delle pagine più patetiche della cronaca politica degli ultimi mesi.
Persino i grandi quotidiani si sono man mano accorti dell’insostenibilità della posizione dei Governatori ed avevano cominciato a pubblicare i dati veri della spesa regionale, mettendola a confronto con quella centrale (che già aveva subìto una riduzione consistente nella manovra triennale del 2008) e dimostrando il sostanziale equilibrio,nel tempo,dei tagli.
Nel momento della verità le Regioni hanno messo in evidenza i loro limiti politici (la minaccia di riconsegnare le deleghe è stato un autogol clamoroso) e contribuito a sfatare un colossale luogo comune, alimentato dalla propaganda della sinistra e riconducibile all’assioma “il potere locale è buono, quello centrale cattivo”. Tremonti ha avuto buon gioco nel dimostrare che in campo c’era una sola posizione credibile: la sua. Nei confronti del ministro dell’Economia, Berlusconi ha lo stesso atteggiamento di Pinocchio verso il Grillo parlante, che nel linguaggio figurato di Carlo Collodi è la voce insopprimibile della coscienza. Tremonti non è soltanto “blindato” sul piano politico, essendo il principale garante dell’alleanza tra il PdL e la Lega Nord. Ha dimostrato più volte di essere insostituibile. Berlusconi ricorda ancora quando, per assecondare le richieste di Gianfranco Fini, “dimissionò”, verso la fine della XIV Legislatura, Tremonti sostituendolo con Domenico Siniscalco, ma dovendolo poi richiamare con urgenza per riscrivere, all’ultimo momento, una legge finanziaria che fosse ritenuta idonea dalla Ue ed evitare così una bocciatura dei nostri conti pubblici.
Al Dicastero di via XX Settembre tornò un Giulio Tremonti profondamente cambiato, attento al rapporto con quella Commissione europea che aveva criticato e disposto a governare la politica economica all’interno delle sue direttive. Le opposizioni non hanno colto il cambiamento del superministro.
Inizialmente aveva espresso pesanti riserve nei confronti del processo – a suo avviso troppo accelerato – della globalizzazione (persino dell’allargamento dell’Unione); aveva dato voce alle preoccupazioni di una parte del nostro tessuto produttivo nei confronti dei prodotti dei Paesi emergenti (a partire dalla Cina) in un contesto eccessivamente carico di vincoli e di regole come quello derivante dall’appartenenza alla Comunità. Probabilmente, Tremonti non ha mutato opinione rispetto a quei fenomeni, ma ha dato prova del realismo necessario per lasciarseli alle spalle e per agire all’interno delle condizioni che si sono prodotte ormai in modo irreversibile. Già critico dei vincoli e dei parametri un po’ ideologici dell’Unione, oggi il ministro è diventato uno dei partner più attenti ed accreditati.
Essere “blindato” anche da Bruxelles è adesso il suo principale salvacondotto, il primo requisito della sua insostituibilità. Inoltre, potrà non convincere o non piacere, ma la linea di Tremonti è la sola che possa vantare dei risultati, fuori e dentro la maggioranza. Se ad affrontare la crisi ci fosse stato un Governo di centro sinistra oggi avremmo una situazione di finanza pubblica sull’orlo del collasso, perché saremmo costretti a smaltire un maggiore indebitamento derivante dall’impiego di risorse in funzione anticiclica, rivelatosi poi del tutto improduttivo, come è avvenuto in altri Paesi. La crisi si è caratterizzata, infatti, per un crollo drammatico, inatteso e repentino della domanda globale, a cui le politiche pubbliche non potevano porre rimedio.
Contro la linea di Tremonti dall’interno della maggioranza, invece, sono venuti soltanto flebili lamenti e progetti fantasiosi. Ma, al dunque, in che cosa si sostanzia quella che abbiamo definito la “linea Tremonti” e perché alla fine è riuscita a prevalere al punto da condizionare la stessa permanenza in vita dell’esecutivo? Va detto subito che il ministro è solito a metterci la faccia con coraggio e determinazione; è capace di assumersi delle responsabilità difficili in un contesto in cui tanti suoi colleghi, se possono, evitano di farlo. Ma la forza del “Tremoni pensiero” sta nel suo realismo disincantato e nella sua essenzialità.
Il ministro pensa, a ragione, che in un’economia globalizzata ma priva di strumenti di governo e di indirizzo comuni, siano ben poche le possibilità di intervento degli Stati. La politica, dunque, può fare molto poco nell’orientare i grandi processi economici e sociali. Anche i cambiamenti, nelle società complesse, sono difficili e faticosi perché si scontrano con resistenze di tutti i tipi, soprattutto quando le comunità sono abituate da decenni a vivere al di sopra delle loro effettive possibilità.
I Governi, allora, hanno un dovere primario: garantire il massimo di credibilità possibile nel loro sistema Paese. Tremonti sostiene da tempo che la vera legge finanziaria di una nazione consiste nelle condizioni a cui è in grado di far sottoscrivere i propri titoli sui mercati. Ed è vero. Se un Paese è costretto a promettere tassi di interesse insostenibili per il servizio del debito finisce per regalare risorse preziose agli speculatori anziché impiegarle nei servizi ai cittadini. Di qui l’esigenza di tenere sotto osservazione costante lo spread con i titoli tedeschi. La ricetta è molto semplice.
Con il pessimismo dell’intelligenza, Tremonti sa che l’Italia è incapace di grandi gesti (ogni tanto butta in pasto degli osservatori internazionali che ne sono ghiotti alcune misure in tema di pensioni e guadagna fiducia e comprensione). In mezzo alla “tempesta perfetta” il Paese deve accontentarsi di restare a galla.
Il ministro ha fatto proprio il monito di quel capitano di un racconto di Konrad (Tifone) il quale afferma che negli oceani si incontrano sempre delle bufere e che un battello con le carte in regola ha un solo modo per affrontarle: attraversarle nel mezzo.

Fonte: Occidentale del 12 luglio 2010

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