• lunedì , 23 Dicembre 2024

La lenta svolta delle Coop rosse. Dopo la crisi, pensano a far lobby

Una gigantografia di Fausto Coppi e Gino Bartali che pedalano in montagna e pur essendo acerrimi concorrenti si passano la borraccia. Con la recessione che sta per finire la Lega Coop riparte da qui, dall’ ossimoro competizione & solidarietà, da una metafora del Novecento italiano che non sarà originalissima però una novità la contiene: cerca di parlare un linguaggio nazionalpopolare e non gauchista. Perché ormai anche ai dirigenti delle coop di sinistra la storica aggettivazione politico-cromatica (“rosse”) inizia a star stretta e, seppur molto più lentamente rispetto ai cugini di Cna e Confesercenti, hanno deciso di mettersi in marcia. A spaventarli è la sindrome Epifani, l’ accorta difesa dell’ immobilismo ad oltranza che, se può andar bene a un sindacato che alla fine sceglie soprattutto di far tessere, non può funzionare per delle imprese che devono crescere, esportare, inventare nuovi business. La partita della piena autonomia la Lega Coop la deve ancora vincere, nonostante almeno un paio di significative aperture nei confronti dei governi di centro-destra. La firma del Patto per l’ Italia – quello che nel 2001 si proponeva di abolire l’ articolo 18 sui licenziamenti – e l’ entusiastico plauso emesso qualche mese fa alla nascita della Banca del Mezzogiorno. Dovevano essere due acuti ma in realtà non hanno lasciato traccia. L’ assemblea dei ceti medi – A Reggio Emilia in una tranquilla mattinata di fine giugno la grande effige di Coppi e Bartali sovrasta la sala dove si svolgono i lavori dell’ assemblea regionale dei dirigenti della Lega. Duecento quadri che ascoltano in silenzio i discorsi dei leader, le analisi della Banca d’ Italia e quelle dei professori Gianni Toniolo e Luigi Spaventa. Scrutando la platea la prima cosa che colpisce è che qui cominciano ad esserci nei piani alti tantissime donne (almeno il 50%), poi la trasformazione del look che evidenzia le radici popolari e segna la sconfitta del modello yuppie di sinistra che pure aveva avuto un suo seguito. E’ una tranquilla assemblea di ceti medi, ma non di quelli fighetti e riflessivi. L’ unica vera concessione alla modernità imperante è la messaggio-mania, anche loro durante l’ assemblea scrivono e ricevono tanti sms. Il patriottismo coop viene fuori però quando si cominciano a sciorinare i numeri del 2009. Sorpresa: per la Lega non è stato un annus horribilis. Sarà perché le cooperative a modo loro sono degli ammortizzatori sociali ma il bilancio delle emiliane non è malvagio, anzi. Il valore della produzione è aumentato dello 0,8%, l’ occupazione dello 0,1%. Persino gli indici finanziari sono andati verso l’ alto: il patrimonio netto è salito in provincia di Reggio Emilia del 5% e il prestito sociale del 2,5%. In sala e sul palco sono convinti non solo di essere usciti dal tunnel ma anche di aver dimostrato di saperci fare. Della serie «quando il gioco si fa duro, i duri giocano». Se poi dai dati emiliani passiamo a leggere quelli nazionali, si vede che per le 300 cooperative più grandi il valore della produzione è sceso nel 2009 del 2,5%, l’ occupazione è salita del 3,5% ma la redditività è andata sotto del 18%. In sostanza le grandi coop hanno preso meno botte dei privati, non hanno licenziato e hanno usato con più parsimonia la Cassa integrazione ma hanno perso un pò di capacità nel produrre ricchezza. Perciò hanno fretta di ripartire, di operare «uno scatto vincente», come si augura il presidente emiliano Paolo Cattabiani. Venendo da lontano i dirigenti della Coop sanno per primi loro di avere delle aziende che i ciclisti definirebbero passiste, brave a tenere l’ andatura, ma in difficoltà quando si tratta di accelerare. Sarà anche per questo che i cooperatori sono molto preoccupati per Pomigliano. Che c’ entra? Se quello diventa il modello delle relazioni industriali italiane «per le Coop il conto diventa salato» spiega Cattabiani. Sui diritti da noi non si transige e se i concorrenti – metti Esselunga – si pomiglianizzano, c’ è poco da fare. Come c’ è poco da fare se i privati delocalizzano, le coop non possono farlo. Invece di comprimere lo spazio dei sindacati i dirigenti vorrebbero razionalizzare e crescere, sviluppare nuove idee (loro dicono “sentieri inesplorati”) come le «coop del sapere» per raccogliere dal cestino manager e ingegneri che le grandi imprese buttano fuori e che invece messi in cooperativa possono fare la loro figura. «E’ già successo in passato – racconta il presidente nazionale Giuliano Poletti -. Quando i big licenziavano gli addetti alle pulizie, alla vigilanza e persino alle buste paga, c’ eravamo noi fuori dei cancelli ad accoglierli e creare cooperative. Un colosso come la Manutencoop è nata così». Poletti riporta ai suoi i dati emersi da una ricerca su come si sono comportate le 240 cooperative top negli ultimi venti anni. Sembra l’ elogio del darwinismo imprenditoriale perché sono sopravvissute solo in 120 che hanno però aumentato alla grande fatturato e patrimonio grazie anche a una politica di fusioni con le sorelle. Solo 60 sono fallite e uscite dal mercato. Risultato: oggi la taglia media delle coop è nettamente superiore a quella delle Pmi private e i settori che hanno permesso questa performance sono due, costruzioni e supermercati. La grande distribuzione si presenta chiaramente come il grimaldello della potenza Coop, che pur coprendo da sola in Italia una quota di mercato sopra il 18%, vuole crescere ancora a tappe forzate. Una cinquantina di nuovi punti vendita e soprattutto la voglia di comprare piccole e medie catene in difficoltà per la stasi dei consumi. Il gran capo dei supermercati Coop, Vincenzo Tassinari, ha stanziato 700 milioni di euro ma ha fatto sapere che se c’ è l’ occasione giusta può metter mano al patrimonio. Oltre alla politica delle acquisizioni le cooperative possono però giocare altre carte soprattutto nel rapporto con l’ industria. E’ ormai assodato che è stato un errore da parte degli imprenditori italiani aver sottovalutato il ruolo strategico della grande distribuzione e la Grande Crisi non ha fatto che rafforzare questa interpretazione. Senza essere forte a valle il made in Italy è destinato ad incontrare difficoltà nella riorganizzazione a monte, rischiamo di essere un Paese di produttori ancora poco capaci di collocare le proprie merci. Sarà per questo motivo che a Reggio Emilia il professor Toniolo ha caldamente raccomandato ai manager cooperativi di introdurre una forte dose di progresso tecnico nella grande distribuzione. «La produttività di settore in Italia è troppo bassa. Non potete fare di più?». Un’ agenda per la crescita – Toniolo ha rivolto alla platea un’ altra provocazione. Le coop devono accentuare il loro profilo di classe dirigente, devono partecipare di più alla costruzione di un’ agenda Paese per la crescita. «C’ è urgenza che vi facciate lobby ma non solo per difendere i vostri interessi ma anche su temi decisivi per l’ Italia come l’ istruzione e le infrastrutture». E’ possibile per le coop ex-rosse farsi lobby senza coinvolgere il resto del mondo cooperativo e facendo finta che Rete Impresa Italia, la grande confederazione dei Piccoli non sia nata ormai già da più d’ un mese? E’ qui che forse rispunta la sindrome Epifani e il bilancio della presidenza Poletti si presenta in rosso. Da anni le tre centrali cooperative italiane, oltre la Lega c’ è la Confcooperative di Luigi e la Agci, tengono aperto il dossier della loro unificazione. Ma per un motivo o per l’ altro la pratica è rimasta ferma sulle scrivanie dei presidenti in attesa dei soliti tempi migliori. Ora i bene informati sostengono che qualcosa si sia rimesso in moto e con qualche chance di successo superiore al passato. E’ l’ effetto Capranica. Avendo le cinque grandi organizzazioni del commercio e dell’ artigianato dimostrato che «volendo si può» hanno di fatto tolto ogni alibi ai frenatori più o meno occulti. Qualcuno dentro la Lega Coop in attesa di un unico rassemblement della cooperazione avrebbe forse gradito una calorosa apertura verso Rete Imprese Italia, ma Poletti alla fine non se l’ è sentita. Eppure l’ agenda dei Piccoli coincide per il 90% con le istanze delle cooperative e nell’ Italia 2010 far lobby significa soprattutto avere la massa critica per decidere le priorità dell’ azione pubblica. Novità in casa Coop possono arrivare anche dal delicato fronte della finanza. La ferita aperta da Giovanni Consorte e dai progetti di conquistare la Bnl si è rimarginata ma anche in questo caso si aspetta uno scatto vincente. Per questo Poletti ha affidato al professor Marcello Messori, ex presidente di Assogestioni e presente anche lui a Reggio Emilia, uno studio sulla finanza cooperativa. In pubblico Messori ha detto che «sarebbe un errore attingere all’ innovazione finanziaria contraria ai principi della mutualità» ma ha aggiunto anche che le innovazioni normative degli annì90 aprono grandi potenzialità e la possibilità di sperimentare soluzioni inedite per poter finanziare la crescita delle coop. Vedremo. Dario Di Vico ddivico@rcs.it generazionepropro.corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA **** 3,5 per cento: l’ aumento dell’ occupazione per le 300 cooperative più grandi nel 2009 **** Solidarietà al Tour del 1952 A Reggio Emilia una grande effige degli storici ciclisti Fausto Coppi e Gino Bartali (nella foto al Tour de France del 1952) ha sovrastato la sala dove si sono svolti, a fine giugno, i lavori dell’ assemblea regionale dei dirigenti della Legacoop. Coppi e Bartali che pedalano in montagna e pur essendo acerrimi concorrenti si passano la borraccia: un simbolo di competizione e solidarietà **** 50% delle imprese artigiane del campione dell’ indagine sui Confidi ha dichiarato di avere difficoltà con le banche **** 52% la pressione fiscale reale secondo le piccole imprese, rispetto a quella ufficiale che è del 43,2% **** 5 miliardi di euro I prestiti erogati ad aprile. Il 57% delle operazioni garantite riguarda prestiti a breve o a medio termine

Fonte: Corriere della Sera del 6 luglio 2010

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