• lunedì , 23 Dicembre 2024

La Grecia non è lontana…

Il decreto d’emergenza è congiunturale, per molti versi iniquo, ma soprattutto rischia di rivelarsi una coperta corta. Tuttavia ho paura che la gran parte di coloro che lo vogliono cambiare possano peggiorarlo. E temo ancor più il fatto che se chi lo deve valutare è quell’Europa miope e ottusa disegnata dal duo Merkel-Sarkozy, fra poco non avremo neanche più lo scudo dell’euro a proteggerci. Comunque la si giri, è difficile trascorrere sereni l’ultima settimana di vacanza d’agosto. Come confermano le Borse, che ieri hanno vissuto non solo l’ennesima giornata nera, ma forse una delle più nere. Ma andiamo con ordine.
Da un lato, in Italia, assistiamo ad un indecoroso balletto intorno alla manovra che ci ha imposto la Bce: mentre è difficile rintracciarne la paternità nel governo, quando invece la situazione avrebbe dovuto imporre l’uso del voto di fiducia (una volta tanto sarebbe stata giustificato), si susseguono le ipotesi di modifica, se non di stravolgimento, dei provvedimenti. E il bello è che i più agguerriti sono nella maggioranza, con il premier che sembra voler assecondare le “manovre sulla manovra” sia per ridurre l’impatto negativo sulla sua immagine derivante dall’aver messo le mani nelle tasche degli italiani (le pessime espressioni prima o poi si ritorcono contro chi le usa) sia per eventualmente regolare i conti con Tremonti (perdendo così definitivamente ogni contatto con l’Europa). Ora, se si trattasse di lasciar perdere questo assurdo balzello del contributo di solidarietà – che si accanisce contro quell’1,23% di italiani (511.534 per l’esattezza) che dichiarano, ai fini Irpef, oltre 90 mila euro, e quindi già pagano abbondantemente le tasse – per fare la riforma strutturale della previdenza (equiparazione uomo-donna, età effettiva di quiescenza 69 anni, abolizione delle pensioni di anzianità) senza scalini e scaloni vari (andrebbe spiegato al ministro Calderoli che i diritti acquisiti non c’entrano niente), allora ci starei più che volentieri al cambiamento. Così come andrebbe bene se si abbandonasse la timida, e mi par di capire già in via di ridimensionamento, riformicchia degli enti locali, per imboccare la strada suggerita da Formigoni riprendendo un vecchio studio della Fondazione Agnelli di ridurre a 7-8 le Regioni, e conseguentemente rimodellare Province (in quel caso avrebbero senso in territori vasti e particolari) e Comuni (accorpare quelli sotto i 5 mila abitanti). Ma a parte qualche caso isolato, mi sembra che sia dentro la maggioranza sia nelle file dell’opposizione alberghino posizioni esattamente opposte a quelle di un maggior – e miglior – rigore. Per esempio, mi domando che profilo di costituzionalità avrebbe una ritassazione dei capitali scudati, che va di moda in queste ore. Sia chiaro, è vero che si tratta di soldi emigrati illegalmente, e che il tasso di pentimento è stato vergognosamente basso, ma così facendo si viola il contratto, bello o brutto che fosse, tra lo Stato e il condonato, al quale si è venduto “una tantum” un diritto a certe condizioni, precisando che nulla si sarebbe mai più potuto reclamare. E già, caro Bersani, applicare ora unilateralmente un sovrapprezzo al quale non ci si può sottrarre, che sia dell’1% o del 100% non importa, significa azzerare del tutto la certezza del diritto, già ridotta al lumicino.
Insomma, il rischio – più che tangibile, a meno che non ci pensino i mercati a metterci paura – è che la manovra, già debole, venga annacquata e peggiorata. Nel qual caso è probabile che si rifaccia viva la Bce – la quale prima o poi (temo che sia presto) smetterà di comprare Btp, e allora lo spread tornerà a riesplodere – ma soprattutto che ci tirino le orecchie tedeschi e francesi. Il che sarebbe un bene, se i “maestrini” avessero la dovuta credibilità. Cosa di cui c’è da dubitare, stando a Jacques Delors. Secondo il quale “l’Europa e l’euro sono sull’orlo di un precipizio”, perché “una semplice collaborazione tra i Paesi negli affari economici non porterà a nulla se non si ha la volontà di cedere un po’ di sovranità nazionale”. Parole sante, quelle dell’ex presidente della Commissione Ue. Che paiono tombali se riferite al misero tentativo franco-tedesco di dare la governance economica che gli manca al club della moneta unica. Non si tratta, come qualcuno ha fatto, di scandalizzarsi per l’esplicito tentativo di imporre la loro duplice egemonia. E’ già così, e comunque è normale che i forti prevalgano sui deboli. Ciò che preoccupa, al contrario, è che si tratti di “poteri deboli”, incapaci di essere all’altezza della storica di necessità di riscrivere il trattato di Maastricht – pensato in tempi di inflazione, non di recessione-stagnazione e di alti debiti pubblici come questi – e di colmare quel gap di integrazione politico-istituzionale che la nascita dell’euro non ha colmato (né poteva essere).
Dunque, questo giovedì nerissimo sia di monito. Si può criticare il duo Merkel-Sarkozy, come io ho fatto e come è giusto che sia, ma sia ben chiaro che se il governo di Roma pensa di potersi spaccare sulla manovra, per regolare i propri conti interni, non ha capito quanto di drammatico può succedere. La Grecia non è lontana…

Fonte: Il Foglio del 19 agosto 2011

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