Nonostante qualche complicazione istituzionale, il Consiglio europeo del 24 e 25 marzo ha raggiunto un’intesa epocale sulle regole di governo delle economie dei Paesi membri, in particolare per la zona euro, che riguarda sia la sostanza, sia le procedure.
Nella sostanza, si iscrivono tra le regole comuni i principi di una strategia integrata che copre il consolidamento delle finanze pubbliche (con le nuove regole per l’equilibrio di bilancio e la riduzione dei debiti pubblici), le riforme strutturali (centrate su mercati del lavoro flessibili nei quali le retribuzioni si allineano alla produttività e l’aumento dei redditi è affidato all’investimento in capitale umano e nuove tecnologie), l’integrazione dei mercati (con l’applicazione rigorosa della direttiva servizi a professioni, distribuzione commerciale, concessioni, appalti pubblici). Alle regole rafforzate del Patto di stabilità e crescita si sono aggiunte quelle per la prevenzione di squilibri economici eccessivi, che coprono in pratica tutte le principali variabili di politica economica e finanziaria.
Per la zona euro sono previsti impegni più stringenti. Ad esempio, sul mercato del lavoro divengono un obbligo l’adozione del modello nordico di “flexisecurity”, abbandonando la difesa rigida dei posti di lavoro in favore di un modello di mobilità assistita che accompagni i lavoratori verso le nuove occupazioni con adeguati programmi di formazione; la riduzione del peso fiscale sul lavoro e l’impresa; l’adozione di concrete misure per accrescere i tassi di partecipazione al mercato del lavoro.
Per le pensioni, si indica l’obiettivo di un allungamento dell’età effettiva di pensionamento in linea con le attese di vita, tra l’altro attraverso l’eliminazione degli schemi di pensionamento anticipato e opportuni incentivi per trattenere o reinserire nel lavoro gli ultra-55enni. Quanto alla finanza pubblica, vi è l’impegno di adottare regole di rango superiore alla legislazione ordinaria per il rispetto dei vincoli di bilancio – che dovranno includere anche regole di contenimento della spesa e dei salari pubblici, a livello centrale e a livello decentrato; nonché ad abbassare il rapporto debito/Pil secondo una traiettoria prescritta. Oltre che l’istituzione di autorità indipendenti dal Governo per la valutazione dell’andamento dei bilanci pubblici e il rispetto delle regole europee nel medio termine.
Quanto alle procedure, la novità più rilevante è l’attribuzione di forza vincolante alle regole di sorveglianza delle politiche economiche presenti da tempo nei trattati (articoli 120 e 121), ma finora in sostanza ignorati. Così, il semestre europeo obbliga i Paesi membri a raccordare il ciclo delle decisioni di politica economica nazionale in funzione delle decisioni autunnali del Consiglio europeo sugli orientamenti comuni, con obblighi vincolanti Paese per Paese da precisare nei piani nazionali di consolidamento e convergenza e di riforma strutturale. Rispetto agli obblighi assunti, gli Stati inadempienti verranno assoggettati a procedure sanzionatorie di crescente intensità; la constatazione dell’inadempienza sarà avviata dalla Commissione europea autonomamente, senza autorizzazione del Consiglio dei ministri. Le raccomandazioni della Commissione per l’applicazione di sanzioni potranno essere respinte dal Consiglio solo a maggioranza qualificata (principio della maggioranza di voto invertita).
Non solo è cambiato il mondo, ma è cambiato con effetti immediati. Le Conclusioni del Consiglio si aprono infatti con alcuni paragrafi – da 2 a 8 – che impegnano gli Stati membri ad avviare immediatamente l’opera di consolidamento delle finanze pubbliche (dove nei casi di squilibrio nel disavanzo o del debito è richiesto un aggiustamento annuo superiore al mezzo punto percentuale di Pil) e le riforme strutturali, elencate puntigliosamente una ad una, dal mercato del lavoro, alle pensioni, ai sistemi educativi, all’efficienza energetica. Inoltre, adottando in pratica il programma proposto da Mario Monti con il suo Rapporto al presidente Barroso, il completamento del Mercato interno ritorna in cima alle priorità di azione dell’Unione: imponendo misure che non solo riprendano il cammino interrotto dell’apertura alla concorrenza dei servizi e delle professioni, ma che alleggeriscano il peso della burocrazia sull’attività d’impresa.
Dunque, le decisioni non sono più rinviabili, da Parigi a Roma, da Madrid a Berlino, da Londra ad Atene. Anche l’Italia dovrà, come gli altri, affrontare con decisione i nodi che da oltre un decennio ne bloccano la crescita e deprimono la produttività. Si tratta di scelte difficili e impopolari, ma capaci di ridare una speranza ai nostri figli. Il fatto che l’impegno riguardi tutti i governi dell’Unione e la sorveglianza occhiuta dei mercati finanziari possono aiutare a consolidare anche nella nostra classe politica la consapevolezza del vero e proprio cambio di regime che dobbiamo affrontare.
La giusta strada del Patto sui conti
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