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La giusta rotta per una cura permanente

Un’Italia che fa scuola nelle riforme. Sembra impossibile ma è così, almeno nelle pensioni. Gli aggiustamenti introdotti con la manovra assicurano un equilibrio di lungo periodo al sistema previdenziale. L’adeguamento dei requisiti di pensionamento all’aumento della speranza di vita è un passo avanti definitivo verso la sostenibilità e completa un processo di riforma avviato nel 1992.
Bisogna dare atto al governo di aver gestito quest’ultimo passaggio con accortezza. È vero che bisognerà attendere il 2028 prima che l’età di pensionamento aumenti di un anno ma l’obiettivo di introdurre un meccanismo automatico di correzione è stato raggiunto. Senza bisogno di estenuanti trattative, con contorno di scioperi e manifestazioni (attenzione però perché la scadenza è lontana e l’esperienza dello “scalone” Maroni potrebbe anche ripetersi). Si doveva fare e si è fatto. Gli altri paesi seguiranno (se non stanno già seguendo) a ruota.
Adesso che il motore è a posto bisogna però pensare alla manutenzione. A una serie di interventi “minori” che consentano al sistema di non incepparsi e di funzionare nel migliore dei modi.
Il primo riguarda l’età di pensionamento delle donne: perché le dipendenti pubbliche devono arrivare a 65 anni e le private no? Fioccheranno i ricorsi e la Corte costituzionale, come spiega Nicola Salerno sul sito Crusoe.it, non potrà giustificare la discriminazione.
Poi bisogna far capire agli italiani che il sistema basato sul metodo contributivo ridurrà, e non di poco, il «tasso di sostituzione» ovvero la percentuale dell’ultimo stipendio coperta dalla pensione. La percezione di questo cambiamento non è ancora diffusa. E occorre agire in questa direzione anche se può sembrare politicamente poco attraente.
Il primo passo importante è la cosiddetta “busta arancione” alla svedese. Tutti gli istituti di previdenza devono inviare ai propri iscritti una simulazione della pensione che riceveranno, basata su ipotesi ragionevoli. Qualcosa, dunque, che va ben oltre un elenco dei contributi versati. In secondo luogo bisogna rilanciare la previdenza complementare: il tasso di adesione ai fondi pensione rimane basso, i giovani non pensano a risparmiare per avere una vecchiaia più tranquilla. Quando si accorgeranno che la pensione pubblica è bassa rimpiangeranno di non aver pensato a una pensione di scorta.
Infine bisogna elaborare una strategia per i non-autosufficienti il cui numero continuerà a crescere mentre le pensioni tenderanno a ridursi. Il rischio di un aumento degli anziani in condizioni di povertà è forte. E allora potrebbe essere utile riprendere un discorso che il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha già affrontato: il reverse mortgage, ovvero un mutuo sulla casa di proprietà dell’anziano che i figli possono riscattare al momento del decesso.

Fonte: Sole 24 Ore del 19 luglio 2010

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