Vista dall’Italia, la sfida impossibile del Governo Amato era ottenere la fiducia in Parlamento dalla sua stessa maggioranza, cosa che invece dovrebbe essere assolutamente normale.
Ma vista dall’estero, la vera sfida impossibile per il Governo sarà quella dei mercati economici e finanziari, dove le anomalie che politica talvolta ammette, non trovano alcuna indulgenza e vengono solitamente punite con la fuga di capitali.
Solo i prossimi mesi indicheranno il responso dei mercati, ma a scrutare ciò che ha detto Amato in Parlamento illustrando le linee del programma economico del Governo, non si scopre nulla di rassicurante. Di più: a dodici mesi dalle elezioni politiche si scorgono rischi molto inquietanti per le casse dello Stato.
I guai finanziari ed economici italiani non sono stati affatto risolti con l’ingresso dell’Italia nel gruppo di Paesi che hanno dato vita all’Euro. Lo sapevamo e lo sapevano anche i governi del centrosinistra, da Prodi a D’Alema che l’Euro avrebbe costituito la linea di partenza, non il traguardo della corsa italiana alla competitività ed alla crescita. E si sapeva anche che durante quella corsa avremmo dovuto superare molti ostacoli, politici, sindacali, specialmente in Italia, per rendere le regole dell’economia, del welfare, del lavoro, della giustizia, in grado di competere con quelle degli altri partner europei.
In quali campi lo ha indicato e continua inascoltato ad indicarlo da alcuni anni il Governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio che, per il fatto stesso di essere acclamato e ricercato di volta in volta come premier del centrosinistra o del Polo, almeno da chi governa, dovrebbe trovare udienza. Ed invece nulla.
Adeguare le nostre regole economiche significa varare riforme strutturali. Per esempio la riforma previdenziale, che tutti concordano va fatta ma nessuno si azzarda ad affrontare nonostante i richiami dell’Europa, della Banca dei regolamenti internazionali, del Fondo Monetario. Non solo, ma in questo versante si consumano veri e propri drammi finanziari a danno dei ceti medi. Per esempio con le limitazioni nella libertà di scelta delle pensioni integrative, oppure con il raddoppio dei contributi Inps sui lavoratori autonomi al quale non corrisponde nulla che somigli neppure lontanamente ad una promessa di pensione. Così, il “Popolo del 10%”, che si era già visto chiudere in faccia la porta del posto di lavoro fisso, oltre alle tasse palesi del ministro delle Finanze subirà anche quelle occulte del ministro del Lavoro. Un altro esempio è la riforma del mercato del lavoro. Flessibilità, fine delle rigidità e dei vincolismi sono stati reclamati spesso negli ultimi quattro anni di governo delle sinistre. Ma s’è fatto assai poco ed anche in questo caso, le parole dei Fazio per una differenziazione geografica dei salari e per meccanismi di stipendi legati alla produttività sono state applaudite al mattino, dibattute nei convegni o nei congressi dei Ds al pomeriggio ma stroncate dalla Cgil e dunque dimenticate alla sera, come le cronache del primo maggio ci ricordano.
Ebbene, di queste riforme strutturali, necessarie al Paese non c’è traccia nel programma economico di Governo. Ed anche la promessa di riduzione delle imposte, nei limiti del recupero dell’evasione fiscale, appare assai sottodimensionata alle reali necessità del Paese, delle imprese e delle famiglie, ma anche – e questa è la novità – rispetto alle nuove possibilità della finanza pubblica.
E qui occorre un supplemento di attenzione: tra i ricavi attesi dall’asta per le frequenze dei supertelefonini, la liquidazione dell’Iri e gli incassi tributari “boom”, quest’anno saranno disponibili oltre 60 mila miliardi non previsti dal Bilancio dello Stato. Denaro in più che il presidente del Consiglio ha fatto intendere verrà in gran parte speso per un grande piano di formazione.Quest’idea, ad un anno dalle elezioni e se non meglio precisata, è legna da ardere per il fuoco delle clientele e degli elettoralismi di una sinistra alla ricerca dei voti perduti. Quei denari dovrebbero invece andare tutti a ridurre la pressione fiscale, cresciuta nel 1999, nonostante gli impegni contrari. Non farlo significa lasciare ben tirato quel “freno a mano ” sull’economia che pure Amato dice di voler togliere.
Fonte: "Il Giornale" del 2 maggio 2000