Un destino assai strano avvolge oggi l’istituto ed il concetto di famiglia. Quello di essere enfaticamente al centro di molte dichiarazioni ufficiali di istituzioni organismi pubblici operanti sullo scenario mondiale e, al tempo stesso, di risultare poi periferico rispetto ai comportamenti degli uomini che decidono.
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu del 10 dicembre 1948 non ha mutato l’articolo 16, comma 3, laddove si dice: ” la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”.
Invece, la storia dei sessant’anni successivi a quella Dichiarazione parla una lingua straniera rispetto al linguaggio della famiglia, principalmente in Europa, quasi che l’irrompere della tecnologia e il prevalere dell’economia abbiano svuotato l’istituto familiare di valori, riempiendolo di consumi; meno figli più redditi; con una battuta, “meno siamo, meglio stiamo”.
Eppure, sia la prassi che il pensiero teorico dell’economia hanno fornito contributi preziosi alla riflessione sulla famiglia come soggetto economico quantitativamente e qualitativamente importante.
La famiglia, come ambiente primario della natalità, è il principale luogo di origine della popolazione.
La popolazione dei figli è il presupposto del capitale umano. E’ il capitale umano che, insieme al progresso tecnico ed alla diffusione globale della conoscenza resa possibile dall’ ICT (Information and communication technology), promuove la produzione della ricchezza con meno disuguaglianze, moltiplica le opportunità, attiva il processo che include giovani e donne nel mondo del lavoro, costruisce un futuro di benessere, i quali diventano volano di ulteriore istruzione, formazione, progresso tecnico informatico ed ulteriore produzione di ricchezza.
Nelle società industrializzate contemporanee il benessere economico è la pre-condizione della natalità.
Ma perché tutto ciò abbia probabilità di accadere occorrono innanzitutto le famiglie, occorre che nascano stimoli nuovi alla nascita di adeguate famiglie.
In Europa, ma soprattutto in Italia, i giovani sembrano invece attratti da una cultura dominante nella quale si sfugge al desiderio di un’autonoma vita di coppia, o perché disinteressati, o perché spaventati, ma comunque poco attratti dal modello di vita di coppia stabile, sempre meno dal matrimonio.
Anche prescindendo dall’ingresso nel mondo del lavoro e dall’approdo all’autosufficienza economica tardivi, è sempre più frequente assistere a giovani che crescono nell’ambiente familiare di origine in forma protetta, ne traggono tutti i benefici di relazione, di solidarietà ed economici ma poi fuggono dall’emancipazione di coppia, quasi temessero il salto nel buio, la sfida della responsabilità, il timore della possibile iniziale contrazione del potere d’acquisto personale.
La contraccezione è la garanzia che tutto ciò può continuare ad accadere senza correre il rischio di un ingresso indesiderato nella dimensione della maturità e della responsabilità genitoriale.
I giovani, usufruiscono cioè della rete familiare, ma giunti all’età i cui poter creare la propria rete, rifiutano di farlo. Anziché concepire la vita di coppia come opportunità di crescita e di realizzazione, spesso sembrano viverla come un vincolo o una limitazione della libertà individuale.
Quest’ultima viene concepita come un bene prezioso che non vale la pena sacrificare sull’altare della vita di coppia. La centralità dell’individuo diventa talmente autoconsistente da sconfinare nell’egoismo sociale ed il modello di vita, anziché puntare all’impegno della scelta, svicola nel disimpegno della way out, della via di fuga istituzionalizzata.
Il calo dei matrimoni, dicono le statistiche, riguarda principalmente i giovani. I matrimoni civili sono in gran parte secondi matrimoni, le convivenze riguardano principalmente ex coniugati e, comunque, entrambi coinvolgono soggetti di età più avanzata, non i giovani.
Il contributo dell’Europa a contrastare tutto ciò è di fatto modesto.
Gli studi più recenti sulle tendenze di fondo in Europa indicano che diminuiscono i matrimoni, aumentano le separazioni ed i divorzi, aumentano le persone che vivono da sole, i genitori soli, i figli fuori del matrimonio; si diffondono forme precarie di convivenza. La popolazione europea mostra una tendenza alla frammentazione ed alla fuga dalla famiglia tradizionale, quasi che un marketing occulto avesse operato e continui ad operare con tecnica subliminale per spingere “fuori moda” il concetto di famiglia e “di moda” quello di qualsiasi altra cosa diversa dalla famiglia tradizionale; o che operi addirittura per concentrare l’attenzione sulle negatività associate al concetto di famiglia (mafia, violenza nelle mura domestiche) piuttosto che sulle positività della famiglia (solidarietà, generosità, entusiasmo che scaturisce dagli affetti profondi) e che fra i giovani, a giudicare dai sondaggi, costituiscono in prevalenza il vissuto ideale.
Tra il 1989 ed il 1994 l’Europa sembrava voler mostrare una certa volontà di affrontare politiche di sostegno familiare, poi questa attenzione si è dissolta.
La priorità è passata all’Europa dell’economia e della moneta unica.
Il Preambolo del Trattato di Maastricht, che ha come nocciolo la creazione dell’Euro come moneta europea, ha introdotto come cardine dell’Unione Europea il principio di sussidiarietà che, prima ancora che un principio organizzativo del potere, è un principio antropologico che esprime una concezione globale dell’uomo e della società, in virtù della quale fulcro dell’ordinamento giuridico è la persona umana, intesa come individuo e legame relazionale1.
Qualcuno deve aver pensato che la valorizzazione della famiglia, attraverso adeguate politiche di sostegno e promozione, rientrasse nel principio più ampio di sussidiarietà se, da quando tale principio è stato introdotto come faro per le politiche di costruzione europea, ogni accenno alle politiche per la famiglia è sparito dall’agenda delle decisioni di Bruxelles.
Oggi il soggetto famiglia sembra collocarsi ai margini delle politiche e delle priorità dell’Europa, esce dal Progetto europeo che pare scegliere come pilastri altre priorità: le forze del libero mercato e della concorrenza e l’uguaglianza di opportunità per tutti i cittadini. Eppure il riconoscimento del diritto di cittadinanza della famiglia non sembra essere in conflitto con quei due pilastri. La battaglia per il riconoscimento delle radici giudaico cristiane dell’Europa, che includono la centralità della famiglia, è dunque coerente anche con i principi economico sociali già patrimonio dei trattati europei.
Qualcosa che va al di là delle politiche dei governi agisce evidentemente per indebolire il concetto e l’istituto della famiglia.
Le concezioni etico-culturali e le percezioni sono differenti nei paesi europei.
Nelle politiche per la famiglia il vincolo esterno europeo, che tanto successo ha avuto nella costruzione dell’Europa monetaria, obbligando i paesi membri a convergere verso obiettivi comuni di debito, di deficit e di inflazione, non ha funzionato perché mancano gli obiettivi comuni.
Ciò significa che sono le politiche nazionali a dover agire, a dover trovare la propria autonoma strada.
Se la carenza di natalità fa venir meno il capitale umano, il ritorno del capitale umano discende dal ripristino delle condizioni per la natalità.
Se le condizioni per la natalità sono ostacolate dal conflitto tra la condizione di donna lavoratrice e donna madre, il ritorno della natalità potrà avvenire quando essere donna lavoratrice non implicherà il sacrificio alla maternità. Del resto che società sarebbe mai quella che per far crescere l’economia attraverso la maggior partecipazione della donna, inibisse la nascita dei figli e, dunque, del capitale umano, senza i quali non ci può essere crescita nemmeno dell’economia?
Se i figli costituiscono il capitale umano prodotto dalla famiglia, la famiglia è il forziere del capitale umano.
E se il capitale umano è il presupposto della crescita economica, con meno famiglie manca il presupposto della crescita e la recessione delle famiglie è il presupposto della recessione delle economie. Dunque, la famiglia diventa anche la principale infrastruttura immateriale della società, al pari dell’onestà, dell’etica degli affari, del senso del dovere.
Il contributo dell’Europa non deve mancare ma sprigionarsi nella dimensione economica che essa oggi ha mostrato di saper far funzionare.
Servono politiche nazionali e fondi europei.
Così come l’Europa finanzia gli investimenti dei singoli paesi per le infrastrutture materiali (trasporto ed informatica) non è affatto illogico che possa finanziare progetti nazionali di sostegno della famiglia, che è la più importante infrastruttura immateriale della società.
Il contributo dell’Italia sta intanto nelle politiche nazionali di sostegno economico e fiscale e nelle modifiche legislative o regolamentari che impattano sull’organizzazione del lavoro, sui servizi pubblici, sull’efficienza dell’apparato amministrativo.
Il presupposto ideale sarebbe uno Statuto della famiglia, mediante il quale giungere al riconoscimento della famiglia come soggetto in capo alla quale sorgono diritti e doveri e sulla quale lo Stato per primo cominci ad operare i giusti riconoscimenti.
Per esempio in campo fiscale, se la famiglia è davvero centrale, occorre che sia tale anche ai fini della tassazione sul reddito, che dovrebbe tener conto dei componenti della famiglia, non con le modeste detrazioni per i carichi familiari, ma con aliquote corrispondenti al reddito familiare diviso per il numero dei componenti.
Per esempio, nel campo della legislazione del lavoro occorrerebbero interventi a tutela delle famiglie che consentano la fungibilità dei benefici tra padre e madre finalizzati alla cura dei figli. Analogamente per le politiche abitative ed assistenziali.
Il riconoscimento della famiglia come soggetto potrebbe aprire prospettive nuove di offerta anche da parte del settore privato, in campo assicurativo, sanitario, di credito al consumo, ora prevalentemente indirizzati all’individuo.
Infine nel campo dei servizi destinati a favorire la famiglia e la natalità, nuove prospettive potrebbero nascere dal coinvolgimento dei capitali privati a fini di interesse generale con forme di investimento simili al project financing, soprattutto per la realizzazione di asili nido nei pressi dei luoghi di lavoro, o di strutture di assistenza per la disabilità anche attraverso il 5 per mille destinato al volontariato.
Ed ancora: se il desiderio di natalità nelle donne è superiore alla natalità reale, e se la rete di sostegno familiare costituita dai nonni è davvero, come indicano le indagini più recenti, il più determinante elemento nella decisione di spingere la donna contemporaneamente verso il lavoro e verso la fecondità, allora occorrono politiche che aiutino le donne sia a trovare lavoro che a concepire figli, tanto più che le evidenze statistiche indicano che laddove cresce la natalità cresce anche l’economia e dunque l’occupazione.
Il campo degli interventi potrebbe essere accora più esteso. La creatività delle imprese e del mondo del volontariato in questo senso danno ampie garanzie che, una volta assegnata una concreta centralità all’istituto della famiglia, poi le idee e le iniziative fioriscano.
Certo non tutto ciò che richiede la difesa e la promozione della famiglia oggi si esaurisce nella dimensione economica .
Ed allora il contributo che la politica nazionale, ma direi l’intera società, possono dare sta in qualcosa di immateriale.
Chi realmente considera la famiglia composta di uomo donna e figli come cellula fondamentale della società, chi autenticamente professa la ricchezza dei suoi valori, è chiamato a dimostrarlo in ogni suo atto, decisione, opinione, riaffermandone i valori, agendo per rigenerare l’attrazione della vita di coppia finalizzata alla prole, negando la neutralità e l’indifferenza etica nel riconoscimento di ogni tipo di forma familiare. E con ciò contribuendo ad una battaglia culturale e identitaria che sembra ancora all’inizio.
Ma qui, chi è chiamato a contribuire alle riflessioni sulla famiglia nella sua dimensione economica deve fermarsi e lasciare ad altri la sfida più ardua.
Bruno Costi
*Istituto di studi superiori sulla donna ( ISSD), Italia- Intervento svolto al Congresso Europeo sulla Famiglia ” La Famiglia e l’Europa”- Roma 8-10 marzo 2007
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1 Papa Pio XI – Enciclica Quadragesimo Anno, 1931