Caro direttore,
esprimo l’adesione dell’Associazione per l’Economia della Cultura all’iniziativa del Sole intesa alla creazione di una Costituente della cultura.
Da quando è nata, nell’86, la nostra Associazione promuove, con la rivista edita dal Mulino, i Rapporti decennali e i convegni, un’attenzione non saltuaria alle problematiche delle politiche culturali.
Siamo stati tra i primi in Italia ad avviare riflessioni sui temi della cultura globalmente intesa, in un Paese in cui – nonostante una più che decennale riunificazione delle competenze culturali in un unico ministero – gli studi sui beni culturali viaggiano ancora su binari separati, senza che si sia tentato – a differenza di altri Paesi avanzati – di considerarle trasversalmente e sistematicamente in una visione di insieme.
Visione d’insieme di cui va invece finalmente dato atto all’iniziativa del Sole 24 Ore, che la propone all’opinione pubblica, ai responsabili del patrimonio e alle forze vive della società e della politica italiane, che non potranno più ignorarne l’importanza ai fini del rilancio dell’economia e dello sviluppo della collettività nazionale.
Aderiamo convinti ai cinque punti posti dal Manifesto del Sole 24 Ore, con alcune sottolineature.
In merito ai primi due punti, concordiamo sull’opportunità di chiamare a raccolta una coalizione di volenterosi per una Costituente della cultura che ponga le basi per una riflessione e programmazione degli interventi a sostegno del settore con strategie di lungo periodo, che andrebbero fondate sul miglioramento di un sistema informativo e statistico sulla cultura.
Fra i problemi di carattere istituzionale, quello della ormai ineludibile collaborazione tra ministeri ci sembra un terzo punto necessario ma non sufficiente: è altrettanto urgente, ci pare, avviare a soluzione il problema della collaborazione tra i livelli di governo, con una precisazione del significato delle “competenze concorrenti” nella “valorizzazione” dei beni e delle attività culturali. Tanto più in tempi di risorse scarse – e visto che l’onere del finanziamento pubblico alla cultura grava ormai, in misura prevalente nel nostro Paese, sulle amministrazioni regionali e locali – è tempo di accantonare le conflittualità del passato, magari avviando forme razionali di coordinamento delle politiche e di “programmazione concordata”.
Anche sul quarto punto, quello della necessità di un rafforzamento dell’insegnamento dell’arte nella scuola concordiamo pienamente, sottolineando la necessità di un maggiore impegno nell’insegnamento e nella pratica della musica fin dai primi anni della scuola dell’obbligo.
Nella ricerca di una soluzione equilibrata per il quinto punto sul rapporto pubblico e privato negli interventi a sostegno della cultura, a noi sembra urgente estendere ai donatori individuali gli sgravi fiscali in vigore per le imprese. Debitamente incoraggiati, potrebbero configurare, come già in molti Paesi europei e negli Usa, non solo una fonte assai promettente di finanziamento alla cultura, ma anche forme di impegno personale e di partecipazione alla costruzione di un rinnovato sentimento della cittadinanza, centrato sulla conoscenza e sul godimento di beni, forme ed espressioni culturali che sono parte dell’identità nazionale. Quanto all’intervento privato nella gestione delle istituzioni pubbliche, siamo favorevoli a un’apertura al terzo settore, tenendo presente il carattere non profit che caratterizza la gestione delle istituzioni culturali.
Ci sarebbe un sesto punto che ci pare degno di considerazione: il rafforzamento del ruolo della cultura come fattore di coesione sociale. Alla presa di coscienza del possibile impatto economico della cultura, che aveva caratterizzato gli anni 80 e 90, ha fatto seguito in questo secolo inquieto, anche al livello delle organizzazioni internazionali (Unesco, Consiglio d’Europa, Ue), una nuova consapevolezza del potenziale contributo del riconoscimento dei diritti culturali alla creazione di una società più sicura e coesa. Anche in Italia, il costruttivo contributo della cultura nell’affrontare gravi emergenze sociali – quali il permanere nel nostro Mezzogiorno tuttora svantaggiato da sacche di criminalità organizzata, e il passaggio da Paese di emigrazione a nuovo, grande magnete per l’immigrazione – non dovrebbe essere sottovalutato.
Non si può non ricordare che anche nel campo della cultura occorre “fare presto”, per rovesciare una tendenza che dura da troppi anni. Nel dibattito sollecitato dal Manifesto vi sono spunti da prendere in considerazione, come la proposta di istituire un fondo per la progettualità avanzata da Federculture su questo giornale. Ma vi sono anche operazioni che possono far crescere il Paese senza impegnare risorse pubbliche. L’Italia dovrebbe fare come in altri Paesi, dove i proprietari degli immobili sono tenuti a ristrutturare le facciate dei palazzi, sia per una questione di sicurezza che per combattere il degrado delle città. Se una tale norma fosse introdotta nelle nostre città, che sono tutte opere d’arte ammirate nel mondo, potremmo avere un processo di recupero urbano e l’avvio di una fase di ripresa e di innovazione nelle tecnologie della manutenzione, con benefici per le bellezze artistiche e per l’occupazione. Il costo di una simile operazione rimarrebbe sui proprietari degli immobili, ma non sarebbe una tassa, bensì un investimento sul proprio patrimonio.
La cultura della coesione
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