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La corruzione non investe

Se c’è un fattore che frena lo sviluppo nel nostro paese, questo è senza dubbio la corruzione. La corruzione e l’illegalità sono dilagati negli ultimi anni, toccando una larga parte delle attività economiche e frenando la crescita civile ed economica dell’Italia. Le cronache di tutti i giorni stanno purtroppo lì a testimoniare di questo stato di cose.
La crescita della corruzione in Italia è andata di pari passo con il deteriorarsi del quadro politico e con il concentrarsi dell’economia italiana nei settori protetti dalla concorrenza. Quest’ultimo fenomeno è un prodotto quasi paradossale della maggiore apertura all’economia di mercato. Infatti, la globalizzazione dell’economia, con l’avvento di nuovi competitori, ha indotto molti imprenditori a trincerarsi nei mercati interni, meno attaccati dalla concorrenza. E questo è avvenuto proprio mentre, sotto la spinta dell’Unione Europea, si è proceduto a una parziale apertura al mercato e ai capitali privati di molti settori gestiti prima in monopolio, quali quelli dei servizi pubblici nazionali e locali.
È così che in Europa molti capitali privati hanno lasciato i settori più esposti alla concorrenza dei paesi emergenti e si sono concentrati sui settori di servizio da poco aperti al mercato. Settori che, grazie alle nuove tecnologie e alla domanda crescente dei consumatori, hanno conosciuto una crescita relativamente importante (trasporti, comunicazioni, servizi ambientali, sanità, eccetera). Per questo si può dire che la globalizzazione e l’apertura al mercato di molti servizi pubblici sono andati di pari passo con il concentrarsi dell’economia nei settori relativamente meno esposti alla concorrenza. Sono così nate grandi imprese di servizio in tutti i paesi europei; i capitali privati si sono spostati dai settori in concorrenza a questi nuovi servizi; sono nati nuovi imprenditori; sono emerse imprese locali controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche; sono diventati più stretti i rapporti tra economia e politica sia a livello nazionale che locale.
Il concentrarsi del mondo degli affari su questi settori ha presupposto anche la creazione di nuove autorità di controllo, un quadro di regole più stringente, un’amministrazione pubblica capace di farle rispettare, un senso civico più avanzato nel denunciare i soprusi e una forte reticenza da parte degli elettori nel votare chi avesse palesi conflitti d’interesse e rischiasse così di portare in politica un’eccessiva commistione con gli affari.
Tutti i paesi si sono dotati di autorità di controllo e hanno imposto nuove regole, ma è certo che non tutti i paesi sono riusciti a progredire su questa strada con la stessa efficacia. E purtroppo l’Italia ha mostrato molti ritardi. Ed è così che il trincerarsi nei settori protetti ha esaltato nel nostro paese il rapporto tra politica ed economia in modo perverso, come le cronache testimoniano. Il formarsi di gruppi di pressione occulti, l’intreccio tra affari e amministrazione della cosa pubblica, la sponsorizzazione politica di funzionari pubblici disponibili a farsi corrompere, la costituzione di reti d’imprese che si spartiscono tra di loro gli affari, l’alternarsi delle stesse persone in determinate cariche pubbliche, la frequentazione assidua di alcuni politici con faccendieri che distribuiscono favori sessuali in cambio di favori economici e altro ancora, sono purtroppo il segno di una diffusione crescente della corruzione nel nostro paese. E sono anche il segno di una carenza di senso civico e del venir meno della capacità di selezionare personale amministrativo e politico. Una carenza che l’attuale sistema elettorale esalta, dato che parlamentari, ministri e alte cariche dello stato non sono scelti dagli elettori o attraverso un sistema di selezione, ma direttamente dalle segreterie dei partiti politici.
La corruzione, qualcuno dirà, non ha impedito a grandi paesi emergenti di conoscere tassi di crescita straordinari. Ma in quei paesi è stata la crescita che ha finanziato la corruzione, in un processo ben noto a tutti i paesi che si sono avviati nella prima fase di sviluppo. Sono paesi che non dispongono di amministrazioni efficienti, con bassi costi di produzione e che conoscono, grazie alla crescita, il formarsi di forti disparità tra settori aperti alla concorrenza, che realizzano guadagni elevati, e settori chiusi alla concorrenza che invece non crescono. L’Italia ha ormai superato da molto quella fase. Non ha una crescita economica che finanzia la corruzione. Ha piuttosto una corruzione che frena la crescita.
Ed è la corruzione che tiene lontani dall’Italia gli investitori di altri paesi. Chi investe i propri capitali vuole avere la certezza di regole chiare e rispettate. Se pensa che non sia così, evita d’investire. A meno che non voglia egli stesso partecipare al gioco della corruzione, ciò che evidentemente non ci aiuta perché alimenta il circuito della corruzione. Un circuito che ha già in sé la capacità di autoalimentarsi, posto che attorno ai corrotti si formano masse di clienti e di persone che sperano di poter beneficiare delle grazie del potente di turno.Queste masse generano altra corruzione e formano squadre elettorali che sostengono i politici corrotti.
Se non si spezza questa spirale perversa di corruzione, il nostro paese difficilmente potrà riprendere a crescere e la nostra vita civile difficilmente potrà tornare ad essere una vita decorosa. Ognuno di noi ha nelle sue mani la possibilità e il dovere di combattere la corruzione, anche e specialmente quando vota.

Fonte: Il Sole 24Ore del 30 ottobre 2010

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