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La bugia smascherata da Atene

Ma non è giusto dare la parola alla gente, quando si tratta di sopportare sacrifici così pesanti? In questo caso no. Sulla materia di cui si dovrebbe decidere, la sovranità nazionale della Grecia non esiste più. Sarebbe come se, poniamo, per decidere se costruire o no centrali nucleari in Italia si fosse posta la domanda ai cittadini di un’unica Regione (mentre, saggiamente, la nostra Costituzione vieta di sottoporre a referendum i trattati internazionali).
Finora tutti i governi dell’area euro avevano trovato comodo occultare questa realtà. La mossa a sorpresa di Giorgos Papandreou involontariamente smaschera una menzogna collettiva. L’ira in altre capitali è comprensibile, ma potevano ammettere prima che se si condivide una moneta comune il potere dei governi nazionali è limitato. Soprattutto lo è quello della Grecia, che per colpe precise (del governo precedente, di altro colore politico) si trova in una situazione insostenibile. Non può fare da sé un Paese che, perfino dopo tutti i tagli agli stipendi e gli aggravi di tasse degli ultimi due anni, continua a vivere al di sopra dei propri mezzi.
Un Paese che produce 100 e consuma 108, come accade alla Grecia del 2011, ha vitale bisogno dell’aiuto degli altri. Riescono solo gli Stati Uniti a sostenere per lungo tempo uno squilibrio dei pagamenti correnti con l’estero perché sono la maggiore potenza mondiale e hanno il dollaro; tuttavia in proporzione è circa la metà di quello greco. Per di più, il governo di Atene è nella condizione di dover contrarre nuovi debiti anche solo per ripagare i debiti vecchi; visto che i mercati non offrono credito, non può andare avanti senza soccorsi esterni.
Nei fatti i greci non sono in grado di decidere sul piano di austerità. Possono cambiare governo, se vogliono (può darsi che sia questo l’esito, invece del referendum); eppure qualsiasi scelta di politica economica, compresa l’insolvenza totale e l’uscita dall’euro, non potrà sottrarli ad una austerità durissima. In più, l’attesa del referendum alimenta il peggiore contagio in tutta l’area, perché i mercati si scatenano sulle ipotesi di cui sopra. Oltretutto, al primo sondaggio che preveda una vittoria del no, potrebbero essere i greci stessi a spostare in massa i propri capitali all’estero: cercando ciascuno di salvare il proprio patrimonio, tutti insieme porterebbero alla rovina il Paese.
Così funziona un’unione monetaria. Già nei mesi passati fingere che la mutua interdipendenza fosse un fattore secondario ha portato a prendere decisioni collettive sempre tardive, talora sbagliate, per motivi di politica interna. A loro volta, gli errori hanno alimentato la diffidenza tra le diverse nazioni. Siamo al punto che il governo di Berlino rinuncia a sgravi fiscali che sarebbe in grado di elargire ai propri elettori «per non dare il cattivo esempio» ai Paesi euro costretti a fare l’opposto.
Nel tentativo di ogni Paese di scaricare le difficoltà sugli altri l’Europa si produce in un multiforme autolesionismo. Ora l’area euro si presenta davanti alle altre potenze globali, al G-20 di Cannes, ridotta a mendicare soccorso dalla Cina, o da un Fondo monetario internazionale potenziato. Il resto del mondo teme che dalla combinazione di irresponsabilità e reciproca diffidenza dei governi del nostro continente scaturisca un nuovo patatrac finanziario collettivo; ma non può risolverne i problemi (come possiamo pretendere che la Cina usi i suoi soldi per aiutare Paesi i cui cittadini sono molto più ricchi dei suoi?). Sull’Italia, che a causa dei propri errori è finita nella prima linea dell’infezione greca, incredibilmente viene a pesare una responsabilità planetaria: se riusciamo a rimetterci in piedi, allontaneremo il pericolo per tutti.

Fonte: La Stampa del 2 novembre 2011

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