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La battaglia nella nebbia

Von Clausewitz chiamava “nebbia della battaglia” il problema di non avere una mente chiara sotto il rombo dei cannoni, quando è più difficile capire l’esito del combattimento e la forza delle alleanze. Per i leader dell’euro area questo è il momento di prevalere sulla nebbia anziché nascondersi dietro di essa.
Anche gli investitori di Wall Street sembrano aver cambiato opinione sull’euro da qualche settimana e quasi tutti hanno ridotto a zero la possibilità che tra cinque anni la moneta unica europea non esista più. Ma la buona notizia, come al solito in questa crisi, ne contiene una meno buona. Proprio perché la gestione del rischio non è più ai confini dell’euro area, si è spostata al suo interno. È diventato più importante gestire il rischio di singoli paesi per arginare un contagio che attraverso i canali bancari e quelli fiscali colpisce perfino Francia e Germania.
In Germania le previsioni di crescita per il 2012 sono crollate. Il rapporto dei centri di ricerca (Herbstgutachten) prevede una crescita dello 0,8%, un terzo delle previsioni precedenti, come conseguenza della crisi del debito. Il caso francese, con i Cds di Société Générale e Crédit Agricole che si muovono in parallelo con quelli dei paesi della periferia, mostra che parlare di rasserenamento del clima è molto precipitoso: l’interazione banche-debito pubblico-economia è in pieno corso.
Paradossalmente, se nei mesi scorsi era importante dare rassicurazioni di valenza politica sulla futura sopravvivenza dell’euro, ora è prioritario affrontare i problemi concretamente. Sarkozy e Merkel hanno creato attesa per i vertici europei del 23 ottobre e sul successivo G20 di Cannes di inizio novembre. Per allora vogliono avere in mano una soluzione complessiva. Se gli esiti fossero evasivi, è possibile che la crisi torni acuta e si concentri sull’Italia.
I tre temi da risolvere sono: una sistemazione definitiva per la Grecia; i dettagli sulla ricapitalizzazione delle banche; una chiara indicazione sulle risorse totali del Fondo di stabilità (Efsf). Nel primo caso bisogna evitare che la Grecia continui a essere fonte di instabilità. Una volta deciso che il default non è la strada giusta, bisogna assicurare che per almeno dieci anni Atene non debba ricorrere ai mercati per finanziarsi.
Per quanto riguarda le banche, per usare un semplicismo all’americana, una cosa deve essere chiarita più di ogni altra: chi metterà i soldi? Il segreto del successo degli aiuti offerti dal governo Usa – dopo i disastri iniziali – è di essere stato molto chiaro su tempi e modi degli aiuti. Sarà possibile farlo nel quadro di frammentazione della sorveglianza bancaria europea e in un clima di protezionismo finanziario?
Infine, sarà applicata e in che modo una leva ai fondi dell’Efsf in modo da evitare che i rischi di crisi in Italia prendano vita propria e vadano fuori controllo? Curiosamente il tema viene nascosto da un paio di settimane. Si pensa che, una volta isolata la Grecia e risolta da sé la crisi irlandese, si possa facilmente aiutare il Portogallo e a quel punto si sarà dimostrato che l’eurozona sa risolvere i suoi problemi. Ma non è così. L’Italia non corrisponde ad alcuno di questi Paesi. Una volta entrata in crisi non sarebbe più salvabile, quindi bisogna agire in linea preventiva, invadendo anche la sovranità politica se il governo continuerà a dimostrarsi disattento alla gravità della crisi.
Non è un caso che si parli di un coinvolgimento diretto del Fondo monetario internazionale (Fmi) nella crisi dell’euro. A Washington si fanno ipotesi su un’assistenza per l’eurozona nella forma di una stand-by facility che normalmente viene garantita ai Paesi con problemi di bilancia dei pagamenti. L’eurozona non ha squilibri nel suo aggregato, ma li ha al suo interno. Sarebbe davvero amaro che il Fondo debba intervenire per risolvere appunto un problema interno alla zona euro. Nelle recenti riunioni del Fmi, i leader europei hanno sentito l’irritazione degli altri governi, non solo di quello americano, per i ritardi nella soluzione dei problemi dell’euro. Ora devono discutere l’aumento delle risorse a disposizione dell’Fmi con sul capo l’ombra di un ricorso agli aiuti del Fondo stesso. Poche circostanze sono così simboliche nel dimostrare il prezzo politico che l’Europa sta pagando nel ritardare le proprie decisioni. Se poi dovesse aprirsi un programma italiano curato dal Fondo, dopo vent’anni di politiche di austerità fiscale, il prezzo politico per Roma sarebbe addirittura scioccante.
Per tutte queste ragioni, il governo italiano dovrebbe essere al centro dell’iniziativa europea, anziché isolato e distratto. È molto probabile invece che nei prossimi dieci giorni il ruolo chiave sarà svolto da Sarkozy. La coincidenza con il G20 a presidenza francese renderebbe imbarazzante per l’Eliseo presentarsi a Cannes come un leader bisognoso di aiuto. Forse non è un caso che il dibattito europeo si sia spostato sul tema delle banche – il punto debole francese -, ma è grave che questo avvenga a discapito di una soluzione per la parte di rischio che viene direttamente dai debiti sovrani.

Fonte: Sole 24 Ore del 17 ottobre 2011

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