A una prima lettura, il Rapporto annuale dellIstat sulla situazione del Paese lascia spiazzati numerosi cronisti economici: per quanto riguarda il breve termine, infatti, il documento conferma ciò che molti sapevano e scrivevano da tempo. Da un lato, lItalia è tecnicamente uscita dalla recessione, ma sotto il profilo sociale gli effetti di trascinamento si presentano pesantissimi tramite una catena di trasmissione che dal mondo del lavoro arriva alle famiglie, che per sopravvivere hanno eroso il risparmio, portandolo al 9,1% del reddito disponibile, il livello più basso dallinizio degli anni Novanta.
La recessione ci ha portato indietro di dieci anni e con gli attuali ritmi ce ne vorranno sei-sette per recuperare la produzione e il reddito perduto. In due anni, due milioni e mezzo di giovani hanno perso il lavoro. Oggi circa un quarto della popolazione è a rischio di povertà o di esclusione sociale. I salari ristagnano ed è difficile preconizzarne un aumento perché, nonostante il leggero recupero di produttività, lindice resta al di sotto del livello del 2000.
Ci sono alcuni segnali incoraggianti, principalmente la ripresa sia della produzione industriale, sia, soprattutto, degli ordinativi per il manifatturiero, indicazione non solo che le imprese manifatturiere italiane hanno resistito comparativamente bene alla crisi finanziaria e a quella delleconomia reale nellarea Usa-Ue, ma è che su di esse che occorre porre laccento nel quadro di qualsivoglia exit strategy.
Unindicazione importante in una fase in cui alcune sirene hanno ripreso a inneggiare alla new economy o net economy di cui nessuno può disconoscere i vantaggi (in termini di riduzione di costi di transazione e di abbattimenti di quelli di tempo e di spazio), ma che rappresenta una leva di sviluppo unicamente se ben integrata nel resto delleconomia (manifatturiero, servizi e, soprattutto, pubblica amministrazione).
Non mancano – e come potrebbero mancare! – le preoccupazioni sullo Stato e sulle prospettive della finanza pubblica, specialmente sul livello raggiunto dal nostro stock di debito pubblico rispetto al flusso di beni e servizi prodotti ogni anno dal Paese (il Pil). Il rapporto Istat è stato scritto e stampato settimane prima della diramazione delle previsioni negative di Standard & Poors sullItalia, ma, scavando tra le sue pagine, si avvertono le medesime preoccupazioni degli analisti di S&Ps: se non acceleriamo la crescita, e se lo stallo politico la frena o le fa addirittura fare marcia indietro, la percezione (giusta o sbagliata che sia) del rischio Italia aumenta con tutte le implicazioni che se ne possono trarre.
La settimana scorsa il rapporto del Centro Europa Ricerche lo aveva detto a tutto tondo; due settimana fa una lettura attenta delle analisi mensili dei 20 maggiori istituti internazionali di analisi previsionale econometrica (tutti privati, nessuno italiano) lo aveva anticipato. Si stupiscono, quindi, quei cronisti economici che già sabato 21 maggio si sono meravigliati delle analisi di S&Ps e che oggi esprimono ancora volta sorpresa. Ma era tutto già nelle carte; avrebbero fatto bene a leggerle.
Questi, però, non sono, a mio avviso, gli aspetti salienti del documento presentato, appropriatamente, in Parlamento. Nel Rapporto cè uno stile nuovo e più attento al lungo periodo e alle fondamenta della politica economica (quale che sia la maggioranza parlamentare e la struttura dellesecutivo). Non so quanti abbiano notato che oggi, a ridosso quasi di questo Rapporto sulla situazione del Paese, lIstat presenta il Rapporto sulla demografia dellItalia. Un messaggio forte per dire che senza una politica della famiglia, che freni linvecchiamento della popolazione, si è condannati a un lento ma inesorabile declino.
Un altro aspetto poco notato dai cronisti economici: da quando venne interrotto a fine 1996 (a ragione dei tagli al bilancio Istat), listituto ha ripreso il lavoro sulla matrice di contabilità sociale (Social Accounting Matrix, Sam). Non è una chicca che può solo stuzzicare gli appetiti di una confraternita di pochi appassionati. Una Sam aggiornata (lultima risale al 1994), infatti, è lo strumento essenziale per valutazioni quantitative delle politiche economiche (quale che sia la maggioranza parlamentare e la composizione dellEsecutivo). È parte integrante della cassetta degli attrezzi per cui uno Stato moderno possa operare.
Questi non sono che due esempi di un disegno più vasto che imporrà, prima o poi, misure legislative: la fusione di fatto tra Isae (Istituto di studi e analisi economica) e Istat fa sì che lItalia si stia dotando di unistituzione analoga allInsee (Istituto nazionale di statistica e di studi economici) francese – un istituto centrale autonomo e indipendente di analisi economica e statistica in grado di formulare osservazioni e commenti a Governi e Parlamenti: non è uninnovazione da poco.
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