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“Io lascio. I nuovi?Gioventù anziana”

La sconfitta di Cesare Geronzi segna una data storica, diremmo epocale se l’ aggettivo non fosse abusato, nelle vicende del malcerto capitalismo di relazioni di questo Paese. Il presidente uscente delle Generali è uomo di grande cortesia e al telefono a tarda sera dissimula tutta la delusione per l’ andamento del consiglio che l’ ha sfiduciato. Non sembra esserci traccia nel suo umore delle lunghe e drammatiche ore trascorse in quella piazza Venezia, così carica di suggestioni storiche, che nel suo disegno doveva diventare il quartier generale di una multinazionale di sistema. Disegno detestato e osteggiato dal management, da molti consiglieri, e infine dall’ azionista Mediobanca e considerato da molti il modo per difendersi, passando da una banca a una assicurazione con requisiti di onorabilità più laschi, da una possibile condanna penale nel caso Cirio (otto anni richiesti). Trieste, la sede storica delle Generali, è lontana, lontanissima. Un altro mondo, forse quello che lui non ha capito. Una compagnia di assicurazioni, che non a caso ebbe tra i suoi dipendenti Franz Kafka, è radicalmente diversa da un istituto di credito, per giunta romano. Geronzi ricorda che le Generali sono state sempre terreno di battaglie aspre per i presidenti di carattere che hanno voluto svolgere il loro ruolo. E, al contrario, un’ oasi per quelli di campanello o per vanesi parrain d’ Oltralpe. Si riferisce a Cesare Merzagora, che fu anche democristiano presidente del Senato? Sì, ma non c’ è bisogno di tornare così indietro, dice. Il caso più vicino è quello dell’ inusuale decisione di Banca d’ Italia, azionista delle Generali, e del governatore Antonio Fazio, amico per anni dell’ ex numero uno di Capitalia, di astenersi nell’ assemblea che nel 2001 portò alla sostituzione di Alfonso Desiata con Gianfranco Gutty. «Il destino dei presidenti che, come me, hanno cercato di capire le cose». Le Generali muovono una massa di investimenti rilevante. Coagulano interessi e, sottolinea, molti, troppi conflitti d’ interesse. O interessi contrapposti. Gli scontri fanno parte della storia della più grande compagnia d’ assicurazioni italiana ma, aggiunge sempre con quella serenità che sembra non abbandonarlo mai, «diciamo che non potevo accettare che scendessero a livelli così beceri. Non ho voluto scrivere una delle più brutte pagine della storia dell’ establishment italiano». Geronzi ricorda, dando la sensazione di essersi liberato di un peso ormai insopportabile, le decisioni della sua pur breve esperienza di assicuratore. In particolare: il comitato di valutazione degli investimenti e quei momenti, contestati, di controllo della gestione, attuati in seguito alle lettere o alle richieste delle autorità di vigilanza, l’ Isvap e la Consob. E alla fine, commenta: la verità è che la compagnia è eterodiretta. L’ accusa non è lieve. Tutto finito? «No, non è ancora stato scritto il capitolo finale». L’ «arzillo vecchietto», definizione usata in pubblico dal suo rivale, ieri vincitore, Diego Della Valle, non sembra rassegnarsi alla pensione. Non parla dei suoi molti nemici, ex alleati, si limita a dire, con una punta di perfidia, che il nuovo che avanza è formato da una «gioventù anziana», dalla quale non c’ è da aspettarsi granché. Chi vivrà vedrà.

Fonte: Corriere della Sera del 7 aprile 2011

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