di Giuseppe Pennisi
Oggi 10 ottobre, deve essere inviato, entro la mezzanotte, il Documento Programmatico di Bilancio (Dpb) alla Commissione europea. E’ un termine ‘perentorio’, per utilizzare il linguaggio del diritto amministrativo, ma temo che noi (e gli altri) lo abbiamo spesso sforato di qualche ora od anche di qualche giorno. Esaminando attentamente il Dpb tra qualche giorno potremo dire se le osservazione fatte dall’Ufficio parlamentare di bilanci, dalla Corte dei Conti, dall’Istat e da altri nelle audizioni sulla Nota d’Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF) soprattutto in materia di debito pubblico e di stima del gettito aggiuntivo derivante dalla lotta all’evasione sono stati in conto nella preparazione della legge di bilancio.
E’ auspicabile che gli uffici del Ministero dell’Economia e delle Finanze tirino la giacchetta al Ministro (forse non a conoscenza delle procedure) perché venga fatto un decreto al fine di evitare che i cento miliardi per progetti d’investimento pubblico stanziati in passato (e bloccati sia dalla filosofia anti-infrastrutture del M5S sia da pastoie burocratiche) non finiscano in perenzione. Inoltre occorre stabilire presto i criteri di valutazione per gli ‘investimenti verdi ’ che dovrebbero essere una caratteristica del ‘Governo della svolta’.
La materia è stata ampiamente trattata in un documento di osservazioni e proposte del Cnel su parametri di valutazione e criteri scelta per gli investimenti pubblici del 18 dicembre 1982 e ripresa nel 2016 nel libro La Buona Spesa: dalle opere pubbliche alla spending review che ho scritto con Stefano Maiolo (ora all’Agenzia coesione territoriale) e pubblicato per le Edizioni ‘Biblioteca di Impresa Lavoro’ nel 2016.
Gli investimenti ‘verdi’, infatti, si estendono su un numero molto lungo di anni e non possono essere valutati come le altre infrastrutture in quanto c’è una grande incertezza nella stima le loro voci di costo e benefici sia nel definire un tasso di sconto appropriato per attualizzarli e confrontarli al momento in cui si devono assumere decisioni ad essi pertinenti.
Quest’ultimo punto è stato ricordato di recente in modo eloquente da Graeme Guthrie della Victoria University of Wellington in un bel saggio intitolato Discount Rate Uncertainty and Cost Benefit Analysis : Should Long-Lived Projects be Treated Differently? È utile tener ricordare il tasso di attualizzazione per valutare l’investimento pubblico in numerosi Paesi Ue (per molto tempo la Francia è stata un’eccezione), riflette il vincolo di bilancio pubblico e misura il declino del valore sociale delle risorse pubbliche liberamente utilizzabili; quindi, è stato a lungo elevato, tra l’8% e il 10%. Peraltro, la Commissione europea accetta il 6% per progetti a valere sui fondi strutturali.
È anche utile tener presente che, nonostante la crisi finanziaria e quella del debito sovrano abbiano in questi ultimi anni rese più scarse le risorse pubbliche, pare esserci stata una revisione dell’approccio. L’Italia ha applicato, per anni, saggi tra l’ 8 – il 5%-ed il 2,5%. Variava secondo le varie fonti di finanziamento.
La delibera CIPE del 1984 indica l’8%, la direttiva della Presidenza del Consiglio del 1987 il 5% (per investimenti nel Mezzogiorno), il Manuale del Ministero Affari Esteri del 1991 (mai aggiornato) il 2,5% (per investimenti di cooperazione allo sviluppo). Inoltre, nell’analisi costi benefici dell’Alta Velocità Torino-Leone viene impiegato un tasso del 3% (in linea con il documento di osservazioni e proposte del Cnel). Ciò suggerisce la forte esigenza di una direttiva univoca.
E’ solo il primo passo, ma essenziale. Data l’incertezza sui costi e sui benefici, occorre applicare il metodo delle opzioni reali, illustrato in linguaggio piano nel volume scritto con Maiolo e pubblicato nel 2016. Il terzo, e più complesso, passo consiste nel quantizzare le voci di costi e benefici ambientali che spesso non è affatto facile esprimere in termini monetari.
Fonte: da Formiche del 10 ottobre 2019