• lunedì , 23 Dicembre 2024

Intesa-Capitalia, non consegnamo alla Francia le chiavi dello sviluppo italiano

Il fatto che la quarta banca italiana, Capitalia rischi di fare la fine ” francese” della BNL, sia pure sotto le mentite spoglie di Banca Intesa, e che l’accanimento giudiziario verso il suo Presidente favorisca proprio questo disegno assai gradito alla coalizione di centrosinistra, sembra non interessare granchè né molti oggi in Italia.

Ed il motivo è abbastanza intuitivo se si pensa che al voto politico più importante della seconda Repubblica, quello del 9 aprile, mancano una manciata di giorni e la scena va ai faccia a faccia in Tv capaci, forse, di spostare il voto degli indecisi. Ma non è detto che siano importanti sono gli indecisi, giacchè anche coloro che hanno deciso fino all’ultimo possono cambiare opinione; né è detto che per conquistare il consenso degli indecisi siano sufficienti solo i titoli di stampa o una apparizione a Porta a Porta o Ballarò. Ci sono questioni serie, per il Paese, per l’economia, per gli italiani sia di destra che di sinistra, che vanno oltre l’apparenza, riguardano i “forzieri” in cui sono custoditi i loro risparmi.

Di banche parliamo, e di finanza. Si dirà: cosa c’è mai di più lontano, astruso, elitario che parlare di banche e finanza agli occhi dell’italiano medio. Ed invece non è così perchè le banche non sono soltanto il luogo dove gli italiani depositano i loro soldi, né chiedono solo un mutuo o consigli anti Cirio o Parmalat; sono anche il luogo in cui i risparmi vengono utilizzati per finanziare le iniziative con le quali l’imprenditore crea ricchezza e prima o poi occupazione. E sono anche il luogo in cui si investe nelle assicurazioni, nella finanza industriale. Anche questa affermazione può apparire astrusa ed elitaria, ma lo diventa assai meno se si pensa che se le imprese italiane fossero accompagnate, consigliate a crescere sia con servizi finanziari, che con i prestiti, potrebbero diventare più grandi, aggregarsi, fondersi, investire in innovazione, esportare meglio e prodotti più avanzati e, conquistando mercati esteri, potrebbero alimentare la crescita dell’economia italiana e, di nuovo, assumere giovani, creare reddito e ricchezza in Italia. Le banche , le assicurazioni sono dunque il vero centro nevralgico il “regista” dello sviluppo, un po’ il Grande Fratello dell’Economia industriale.

Ma di questa componente macroeconomica dell’attività delle banche si sa assai poco e sapendone poco si ignora il danno che il Paese subirebbe qualora pezzi di sistema finanziario italiano cambiassero proprietà e nazionalità. Intendiamoci: non siamo in assoluto contrari a che ciò avvenga, purchè nei tempi giusti ed in regime di reciprocità, ma crediamo che sarebbe assai utile agli italiani indecisi sul voto sapere che, quando a sinistra si reclamano terapeutiche liberalizzazioni ad ogni costo ed una disarmata soggezione alle asimmetrie regolatorie del mercato, nel caso di banche ed assicurazioni significa consegnare proprio la cabina di regia dello sviluppo, quei centri nevralgici che muovono la crescita del nostro sistema industriale, fatti di partecipazioni azionarie strategiche, di patti di sindacato, di presenza nel tessuto dell’economia reale; tutto ciò che, invece, dovremmo considerare come il patrimonio più prezioso per il Paese.

E veniamo dunque al rischio francese del caso Intesa Capitalia. Pochi amano ricordare che i francesi del Credit Agricole sono il primo azionista (17,80%) della banca guidata da Giovanni Bazoli, ma poiché a comandare non è l’assemblea bensì il patto di sindacato che unisce alcuni grandi azionisti, basta poco per accorgersi che sostanzialmente Banca Intesa oggi è già una banca a guida francese. Il Credit Agricole ha infatti il 40% delle azioni sindacate e dalla semplice lettura del punto C comma 7 del Patto risulta che nessuna decisione può essere assunta senza che il Credit non voglia, esattamente il contrario di quanto dice il Patto di sindacato di Capitalia, dove invece, qualsiasi decisione può essere assunta anche se gli olandesi di Abn non volessero. La conferma? La SEC, la Consob americana, che è solita indicare la nazionalità delle banche estere, indica asetticamente Fr-Francia- accanto alla sigla che denomina Banca Intesa.

Ed allora, poiché il disegno di Intesa sarebbe quello di fagocitare Capitalia (che capitalizza la metà) ecco che qualora ciò avvenisse un altro pezzo di Italia cambierebbe ispirazione e accento.
Dove sta il guaio? se ci guadagnano i risparmiatori – si potrebbe obiettare – ben venga il Credit-Intesa padrone anche di Capitalia. Ammesso, ma aggiungiamo niente affatto concesso che i risparmiatori ci guadagnino davvero, sarebbe davvero interesse del Paese perdere un altro dei centri nevralgici che alimentano l’economia e le imprese italiane? Se non fossero state banche italiane ad aiutare la rinascita della Fiat con il prestito convertendo o la Telecom con l’ingresso nella “cassaforte”Olimpia, siamo davvero certi che la fabbrica di auto di Termini Imprese in Sicilia produrrebbe le nuove Punto? O che Telecom sarebbe riuscita ad investire il necessario per migliorare la sua posizione competitiva con la convergenza della telefonia fisso-mobile?

Infine le partecipazioni finanziarie. Una Capitalia “francesizzata” non ha solo questo tipo di controindicazioni ma ne ha alcune altre forse ancor più esiziali. In caso di fusione, la nuova realtà dall’accento francese, avrebbe una posizione diretta in Mediobanca pari ad una quota dal 18,4% al 28,4% (quota ex-Capitalia dell’8,4% più 10-20% del tandem Bollorè – Groupama ). Ciò consentirebbe – ed è la preda finale – di muovere le forze per un assalto alle Generali di cui il nuovo blocco di interessi avrebbe quasi il 18% (13,63% di Mediobanca più il 4,67% dl Intesa-Capitalia) e che potrebbe sfociare in nuovi equilibri in un futuro patto di sindacato Generali nato dalle ceneri di quello esistente infranto da un’ipotetica Opa.

Dunque non sono Capitalia ma anche Generali adieu? Dopo il cambio di registro in Banca d’Italia, questo sarebbe il rischio vero che corre il Paese. Avremmo consegnato ai francesi non una banca né un’assicurazione, ma le chiavi dello sviluppo del Paese. Che, notoriamente non sono né di destra nè di sinistra, ma di tutti gli italiani.

Fonte: Il Giornale del 5 aprile 2006

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