• domenica , 22 Dicembre 2024

Intervista all’amministratore Delegato di Terna Spa
Strategie sottomarine

Il nuovo collegamento Sardegna-Penisola italiana (Sapei) è uno dei maggiori investimenti del piano strategico di Terna 2006-2010. Consta di due cavi sottomarini di 420 chilometri, ciascuno dei quali con una capacità di 500 megawatt, che saranno collegati alle stazioni di Fiumesanto (Sassari) e Latina. Le società Prysmian Cable & Systems e Abb realizzeranno, rispettivamente, i cavi e le stazioni di conversione. L’investimento complessivo ammonta a circa 600 milioni di euro, su un totale di 1.400 milioni previsti per lo sviluppo della rete nel piano. …

L’andamento del titolo negli ultimi mesi

Chissà se i farmer toscani apprezzeranno: il prossimo anno i tralicci del nuovo elettrodotto che porterà l’alta tensione attraverso una delle regioni più sensibili all’inquinamento estetico saranno firmati da Norman Foster, l’architetto britannico che ha progettato il Millennium Bridge di Londra e la ristrutturazione del Reichstag di Berlino. Il modellino della nuova torre d’acciaio (una specie di forcella che regge una leggiadra collana di cavi) che campeggia nello studio di Flavio Cattaneo, l’amministratore delegato di Terna, appare effettivamente più gradevole delle tradizionali strutture che portano l’energia elettrica in tutte le zone della penisola. Ma basterà questo a far dimenticare l’effetto ‘nimby’ (not in my backyard: fuori dal mio giardino) alle comunità rurali, inducendole a non mettere i bastoni tra le ruote al piano di investimenti da 2 miliardi di euro al 2010 di Terna? Investimenti che, come spiega lo stesso Cattaneo, non servono solo a rendere la rete elettrica a prova di blackout, ma anche a rendere la società sempre più profittevole. E quindi a far contenti gli azionisti. I quali (a cominciare dalla cassa Depositi e Prestiti, che ha il 30 per cento) finora davvero non si possono lamentare: quotata a metà del 2004 a 1,70 euro per azione, ora sta sui 2,5, avendo fruttato cospicui dividendi (11,5 centesimi nel 2004, 13 centesimi nel 2005 e 5,3 a titolo di acconto 2006: il 6 per cento in più sull’anticipo 2005). Un crescendo che galvanizza l’amministratore delegato: pur essendo approdato al business elettrico dopo un incarico ben più elettrizzante, quello di direttore generale della Rai, Cattaneo si muove in continuazione. Torna da un road show dai fondi Usa e riparte per il Sudamerica, dove ha portato in Borsa a San Paolo la Terna Partecipacoes, per poi tornare ancora a completare l’acquisto delle reti di Edison e di Aem in Italia (avvicinandosi così alla proprietà di quasi il 100 per cento della rete nazionale) e lanciarsi a progettare nuove reti da ogni dove: Montenegro, Albania e più in là nei Balcani, oppure Nord Africa, agganciando con i cavi sottomarini la Penisola a nuove fonti di elettricità. Fino a immaginare un nuovo business, utilizzando fili e tralicci per servizi di telecomunicazioni, come spiega a ‘L’espresso’ in questa intervista.

Terna garantisce l’arrivo dell’energia elettrica nelle case degli italiani. Dopo la crisi del gas del gennaio scorso, tutti prevedono due anni difficili. Se la sente di fare una promessa per questo inverno?

“Noi siamo come grandi trasportatori: prendiamo l’energia dalle centrali o dall’estero e la consegniamo ai distributori. Quindi a portare l’energia nelle case non siamo noi, ma i vari Acea, Enel…”.
Però se il grossista non funziona il negozio resta vuoto. E le grandi reti hanno dimostrato che possono avere un cedimento, come è appena capitato in Germania, con un effetto domino che ha spento la luce anche in Italia.

“Ogni anno abbiamo un incremento dei consumi del 2 per cento; la produzione di energia è concentrata al Nord e al Sud, e quindi la trasmissione deve superare congestioni di rete, e tenere in equilibrio la domanda e l’offerta in tempo reale, perché l’energia elettrica non si può immagazzinare. Aggiunga fattori straordinari legati a situazioni particolari: troppo caldo, troppo freddo, e i consumi si impennano. E quindi è una fornitura continua, che si modifica sulla base di previsioni e con la sicurezza delle scorte. Il più delle volte, quando manca la corrente in alcune strade o in alcune zone della città, il sistema di trasmissione è completamente esente da responsabilità: riguarda la distribuzione”.
Quanto tempo c’è, in una situazione di picco improvviso, per allineare domanda e offerta?

“Le cose sono immediate. Chi non produceva energia elettrica in quel momento, o ne produceva meno, è chiamato a produrne di più subito. E i clienti che hanno dei contratti ‘interrompibili’ (grandi aziende che pagano per questo l’elettricità a un minor costo) vengono staccati automaticamente con o senza preavviso. Si possono avere zone dove viene a mancare momentaneamente la corrente, ma questo spesso serve per mettere in salvaguardia tutto il resto del Paese: nell’ultimo problema che abbiamo avuto in Europa, derivato dalla situazione tedesca, sono state staccate per prime le isole, che sono le zone più difficilmente riportabili a uno stato normale. Quel giorno, il 4 novembre, il tempo di ribilanciamento è durato 15 minuti: dal momento dell’evento, le 22 e 10, alle 22 e 25”.

Qual è il punto debole del sistema Italia?

“Siamo un paese senza idrocarburi propri e non abbiamo il nucleare, quindi quello che serve per far funzionare le centrali viene da fuori. Abbiamo fatto passi da gigante per incrementare la capacità produttiva e la sicurezza della rete. Ma ci troviamo a rincorrere l’aumento dei consumi, e ogni anno serve sempre di più. Quindi bisognerebbe cominciare a influire sui consumi “.

Parla di riduzione dei consumi: ma per voi non è anche minor giro d’affari?

“Noi siamo pagati in base agli investimenti, e non solo in base ai consumi, perché quando dobbiamo realizzare una linea, che si consumi o no, i soldi li dobbiamo spendere”.

Ma il traffico sulla linea crea fatturato.

“Sì, ma noi siamo remunerati sull’investimento: questo crea terzietà ed evita il conflitto di interessi. Se io sono pagato per gli investimenti, quale ragione avrei a non farli? Più investiamo, più rendiamo e più guadagniamo. E più siamo utili al Paese”.

Se il vostro obiettivo è massimizzare gli investimenti, perché questa è la chiave di volta del profitto, quegli investimenti devono essere poi ben allocati…

“E realizzati in fretta: peccato che siamo a due-tre volte il tempo di autorizzazione rispetto alla realizzazione. Eppure offriamo a tutte le autonomie locali di partire con la concertazione… Ma anche così c’è sempre un sindaco che non vuole”.

Il piano di Terna stanzia 2 miliardi da qui al 2010. Il vostro interesse è fare investimenti veloci e che rendano immediatamente. Visto che in Italia non sono né veloci né efficienti, andate a farli all’estero?

“No, il nostro core business è l’Italia. Non togliamo soldi da qui per fare l’estero, anzi: oggi il 16 per cento dei nostri margini arriva da oltre confine. Ma noi siamo un’azienda quotata, e crediamo che le aziende domestiche non abbiano un futuro così roseo. Perciò intendiamo replicare il modello Terna Brasile anche in altre aree del mondo, a partire dai Balcani, ma pensiamo anche all’Asia”.

In quanto tempo l’Italia sarà meno vulnerabile? Prenda un impegno…

“Se ci mettiamo subito al lavoro si può fare in fretta. L’Unione europea ha già deliberato i finanziamenti per quello che chiama Corridoio 8: va fatto un accordo intergovernativo con l’Albania, la Macedonia e la Bulgaria, che ha capacità elettrica in eccesso. Infine, non resta che collegare l’Albania all’Italia. Ma sotto il mare non ci sono comuni che si oppongono”.

Tempo?

“Bisogna fare gli accordi. I soldi li mettiamo noi, non pesano sul bilancio pubblico”.

Potrebbero essere realizzati in tempi inferiori ai due anni?

“Tecnicamente, sì”.
Quali reti si possono mettere insieme? C’è quella del gas che andrebbe liberalizzata per renderla accessibile a tutti gli operatori. Ma l’Eni non vuole mollare Snam Retegas. In linea di principio, ci sarebbe una compatibilità?

“Premesso che non siamo noi a decidere, sull’unificazione della rete elettrica e quella del gas, esiste l’esempio inglese di National Grid. Metterle insieme vorrebbe dire avere una migliore struttura del capitale, quindi una maggiore efficienza finanziaria e sinergie industriali. Io sono favorevole al concetto di liberalizzazione, che non vuol dire però privatizzazione. Liberalizzare significa avere una terzietà nella gestione delle infrastrutture di accesso e questo può rendere più facile l’ingresso di nuovi soggetti imprenditoriali, quindi crea opportunità. Si può fare in tanti settori: si è fatto in quello elettrico. Sbaglia chi ritiene che gli elementi di liberalizzazione o di terzietà siano legati alle proprietà. La vera indipendenza, e quindi la possibilità di liberalizzare, sta in come si costruisce il business. Se un business è costruito in modo tale che più fai investimenti e più ti pagano, più fai entrare soggetti e più guadagni, è nei fatti che sei ‘terzo’ rispetto al settore. Al di là di chi è il tuo proprietario”.

E l’abbinamento con la rete telefonica, lo vede?

“Sono business diversi. Altra cosa è, invece, utilizzare le nostre torri anche per altri scopi”.
In quale modo?

“Attraversiamo con 40 mila chilometri tutta l’Italia. Ci possono passare la fibra ottica, linee telefoniche, Wi-Fi… Anche se non è il nostro business. E non sarebbe gratis”.
Nessuno si è ancora fatto avanti?

“Se si fanno avanti, noi siamo qui”.

Fonte: L'Espresso del 23 novembre 2006

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