• giovedì , 21 Novembre 2024

Intervista a Biggieri (Istat) : ” Il tasso d’inflazione resta unico”

La decisione di pubblicare l’indice dei prezzi sui prodotti ad alta frequenza d’acquisto ha suscitato polemiche immediate. Ma qual è oggi il tasso d’inflazione da usare come parametro di riferimento, l’àncora per la politica dei redditi, per i contratti, per gli affitti, per i titoli, per tutto ciò che ha un’indicizzazione? Il 2,9% o il 4,8%? In altre parole, dobbiamo ritenere che l’indice ufficiale dei prezzi sia oggi meno significativo? Secondo il presidente dell’Istat, Luigi Biggeri, non ci sono dubbi: l’unità di misura ufficiale della dinamica dei prezzi è e rimarrà una sola. «Prima di tutto – esordisce – vorrei ricordare che gli indici dei prezzi dei prodotti distinti secondo la frequenza di acquisto sono stati già pubblicati dall’Istat a maggio 2007 nel Rapporto annuale e non mi sembra di ricordare reazioni particolari. Inoltre, a livello europeo, nel corso del 2007 Eurostat, la Banca centrale europea e gli istituti nazionali di statistica hanno discusso ampiamente dell’esigenza di fornire un quadro informativo il più possibile articolato delle dinamiche inflazionistiche e, nel caso degli indici dei prezzi dei prodotti ad acquisto frequente, più rappresentativo della realtà di consumo quotidiano più frequente».

Lei trova quindi fuori luogo le reazioni?

In realtà, spesso, quando gli Istituti nazionali di statistica pubblicano dati “sensibili” possono nascere polemiche anche in relazione all’interpretazione che si fornisce su tali dati e alla situazione politica del momento. Come è noto, è l’indice generale dei prezzi al consumo che misura l’inflazione dell’economia, cioè l’aumento medio dei prezzi di tutti i beni e servizi acquistati da tutta la popolazione, e quindi il valore da prendere in considerazione per le decisioni di politiche macroeconomiche misura una crescita dei prezzi al consumo del 2,9%. Questo indice mantiene tutta la sua validità e del resto l’aumento del 4,8% citato si riferisce soltanto a poco più di un terzo (39%) della spesa per gli acquisti di beni e servizi delle famiglie.

Tutte le discussioni che sono state fatte dal decollo dell’euro in poi, sulla distanza fra “inflazione percepita” dalle famiglie consumatrici e inflazione reale vanno aggiornate e modificate?

Certamente no. L’Istat ha sempre sostenuto che non ci si deve fermare all’esame del valore medio e ha sempre messo in evidenza i rilevanti aumenti che ci sono stati nei prezzi per alcune categorie di beni e servizi ad acquisto frequente. Per quanto riguarda la formazione delle percezioni di inflazione, c’è ampio consenso su fatto che le persone fanno riferimento ai beni che hanno acquistato più recentemente; a quelli che acquistano più frequentemente; che si ricordano meglio gli aumenti dei prezzi che non le diminuzioni; che trascurano i prezzi dei beni e servizi che non pagano direttamente; e che, infine fanno riferimento al loro specifico paniere della spesa, che certamente è diverso da quello relativo al complesso delle famiglie.

Ci sono associazioni sindacali che chiedono una revisione del paniere Istat sulla base dello scarto esistente tra l’indice ufficiale e quello dei prodotti di consumo quotidiano. Lei pensa che l’attuale paniere dovrebbe essere ulteriormente modificato?

No. Sono due cose diverse, come ho detto prima. La misura ufficiale dell’inflazione è quella fornita dall’indice generale dei prezzi al consumo, che attualmente sta crescendo del 2,9% e non può essere messa in discussione . L’introduzione di ulteriori indici settoriali serve a migliorare la fruibilità delle informazioni statistiche sui prezzi e la conoscenza delle caratteristiche del processo inflazionistico. Queste nuove serie derivano dalla sintesi di indici che sono sempre stati pubblicati (ad esempio riguardanti i prodotti alimentari e bevande, i beni non durevoli per la casa, i trasporti, ecc). Il fatto di averli aggregati secondo un criterio legato alla frequenza di acquisto consente di disporre di uno strumento in più per valutare come si sta muovendo il sistema dei prezzi.

È una specificità italiana questa divaricazione fra il costo della spesa quotidiana e l’indice ufficiale o è accaduto anche nel resto d’Europa?

Attualmente non si dispone di indici comparabili a livello europeo. L’analisi della dinamica dei prezzi delle principali componenti degli acquisti frequenti (alimentari, carburanti, servizi di ristorazione ecc.) nei diversi paesi consente tuttavia di verificare che attualmente questa divaricazione è un fenomeno europeo. In effetti, la divergenza tra i due indici dipende dagli andamenti dei prezzi di prodotti che sono soggetti a variazioni congiunturali rilevanti, per effetto degli andamenti internazionali dei prezzi dei prodotti alimentari ed energetici, ma anche per gli andamenti dovuti all’effetto del clima, ad esempio sui prodotti dell’agricoltura.

Come spiega il fatto che la forbice tra i due indici si sia chiusa nel 2005 e poi si sia riaperta? La forte accelerazione dei prezzi dei beni di largo consumo è un fenomeno temporaneo o un problema strutturale?

Nel 2005 i prezzi dei prodotti alimentari sono lievemente diminuiti in media d’anno. E questo ha determinato un contenimento della crescita dell’indice dei prezzi dei prodotti ad acquisto frequente. Quando si verifica, come nella parte finale del 2007 e l’inizio del 2008, una sincronizzazione di forti oscillazioni cicliche di prezzi particolarmente variabili (come quella alimentare ed energetica) è evidente che l’indice dei prodotti ad acquisto frequente tende a muoversi molto più rapidamente del tasso d’inflazione. Tuttavia, la forbice può essere anche in senso opposto. La temporaneità o meno delle attuali differenze dipende da quanto continueranno le spinte che provengono dall’esterno, con la lievitazione dei prezzi dei cereali e dei prodotti petroliferi e dalla loro trasmissione nei processi di formazione (e di eventuale lievitazione)dei prezzi, dai produttori alla distribuzione e quindi al consumo.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 9 Marzo 2008

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