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Internet, svolta epocale nonostante lo sboom

TRE ANNI fa l’indice Nasdaq della Borsa tecnologica americana segnava il massimo di tutti i tempi a quota 5.048, al culmine di quella che fu definita “la più grande creazione di ricchezza avvenuta per vie legali nella storia dell’umanità”. (Dallo scandalo Enron in poi, sulla legalità di quel boom sono state segnalate vistose eccezioni). Molto prima che il terrorismo e la guerra spaventassero consumatori e investitori, l’11 marzo 2000 iniziava il grande crollo della New Economy: il vero avvio della crisi attuale. Tre anni dopo il Nasdaq è sotto i 1.300 punti. Solo negli Stati Uniti sono stati persi 7mila miliardi di dollari, la più grande distruzione di ricchezza mai avvenuta in tempo di pace. Le Borse europee sono ai minimi da sette anni, l’economia mondiale è in stato depressivo e forse alla vigilia di una doppia recessione in due anni. Anche se la guerra in Iraq fosse breve e vittoriosa, anche se il petrolio tornasse sotto i 20 dollari al barile, con ogni probabilità continueremo a pagare a lungo gli eccessi della New Economy.

Dunque fu solo una perversa bolla finanziaria, come la speculazione sui bulbi dei tulipani alla Borsa di Amsterdam nel Seicento? Fu una crudele illusione che ci lascia in eredità quasi 2 milioni di lavoratori americani licenziati, un esercito di pensionati senza fondo pensione, di piccoli azionisti impoveriti, oltre a macchie infamanti sull’etica degli affari? La risposta è no.

La New Economy è stata una fase di parossismo in cui il capitalismo americano ha mostrato tutto il meglio e tutto il peggio di sé, dalla straordinaria capacità di sfornare innovazioni, all’inquietante concentrazione di ricchezza e di diseguaglianze sociali. Non è mai stata soltanto un fenomeno di Borsa. La febbre speculativa sui bulbi dei tulipani olandesi creò fortune e poi fallimenti ma non lasciò nulla alla società di quei tempi. La New Economy invece ha cambiato per sempre – e ad una velocità spettacolare – il nostro stile di vita, il nostro modo di informarci, di lavorare, di comprare, di risparmiare, persino di fare politica. Il triangolo formato da computer, cellulare e Internet, definisce l’universo in cui oggi abitiamo. Basta tornare indietro di appena dieci anni e questa particolare combinazione di tecnologie esisteva solo nella mente di pochi visionari, era sconosciuta alla maggior parte del mondo. Oggi la posta elettronica è indispensabile. Dal presidente della multinazionale alla segretaria di una piccola azienda di provincia, non saper usare l’e-mail è come essere analfabeti. Dalla sua invenzione il telefono ci mise cinquant’anni a invadere tutte le case del mondo, l’e-mail c’è riuscita in cinque.

Secondo l’ultimo Economist in Gran Bretagna – il paese con la più alta diffusione pro capite della stampa scritta – le giovani generazioni ormai assorbono informazioni solo da Internet. Il motore di ricerca Google (che sta per quotarsi in Borsa: con “e-bay” e “Amazon” una delle poche dot.com sopravvissute alla selezione della specie) consente a qualunque cittadino di reperire in pochi secondi su Internet una massa di informazioni che dieci anni fa avrebbero messo a dura prova la Cia. Negli Stati Uniti sono scomparsi i biglietti aerei, il volo si prenota on line e ci si presenta all’aeroporto con la carta di credito: le agenzie viaggi falliscono ma le tariffe aeree non sono mai state così vantaggiose per il consumatore. È un esempio degli immensi risparmi di carta e di burocrazia che l’uso universale di Internet sta diffondendo nel tessuto dell’economia. La “Dell”, numero uno mondiale dei Personal computer, non ha punti vendita: i suoi pc si ordinano on line, ogni cliente precisa le caratteristiche desiderate, l’apparecchio viene prodotto su misura e consegnato a domicilio in cinque giorni.

Solo Internet ha reso possibile un simile balzo di efficienza e produttività. Tanto da rendere competitiva un’industria informatica come la “Dell” che ha i suoi operai nel Texas anziché produrre con i bassi salari della Cina. Se non ci fosse stata la New Economy nessuno potrebbe spiegare il mistero dell’economia americana che per la prima volta nella storia vede progredire vigorosamente la sua produttività nel mezzo di una recessione. L’Europa è indietro nello sfruttare queste potenzialità ma molto è cambiato anche sul Vecchio Continente. Nell’Italia del protezionismo bancario la concorrenza arriva via Internet: una banca olandese senza sportelli offre i tassi più alti sui conti correnti perché non ha agenzie da mantenere. Dalla New Economy è influenzata la nostra democrazia. Il movimento pacifista americano – più forte di quanto gli europei tendano a credere – è organizzato soprattutto su Internet. Le idee viaggiano alla velocità della luce nella grande comunità virtuale degli anti-Bush, la cosiddetta “Smart Mob”. A Washington e a San Francisco centinaia di migliaia di persone scendono in piazza per cortei contro la guerra organizzati in pochi giorni. Il sito www.moveon.org ha raccolto 700mila dollari in 48 ore per mandare in onda un celebre spot pacifista sulle grandi reti televisive. Altrettanto rapidamente i suoi seguaci hanno saturato di 400mila e-mail le caselle postali dei deputati americani con appelli per la pace.

Il triangolo Internet-computer-cellulare invade la Cina, nuovo mercato di sbocco delle tecnologie, e quanto tempo ci metterà a trasformarsi in una irresistibile domanda di democrazia? Per ora il Partito comunista cinese gestisce la censura anche on line ma l’emergere di una classe media, giovane e assetata di comunicazione, è una sfida formidabile per il regime. La Silicon Valley californiana dove tutto ciò ebbe un inizio e una fine, compresi gli eccessi speculativi più indegni, oggi può sembrare stremata. In tre anni ha perduto 450mila posti di lavoro nell’industria privata. Il 25 per cento degli uffici sono vuoti dopo l’epidemia di fallimento. Molti “cervelli” indiani immigrati durante il boom hanno fatto le valigie per Bombay. Il venture capital, canale di finanziamento delle imprese innovative, è esangue. Per il Nasdaq molti prevedono un secular Bear market, uno di quei ribassi lunghissimi come si verificano una o due volte per secolo: nel secolo scorso dal 1929 al 1945, e poi per tutti gli Anni Settanta. A San Francisco gli ingegneri informatici disoccupati si battono per un posto di insegnante di matematica in un liceo (un quarto dello stipendio che prendevano nell’industria), chi può torna all’università a studiare. Eppure l’atmosfera è più ottimista che nel resto del mondo. Dagli Anni Trenta, quando il primo transistor vide la luce qui, la Silicon Valley ha partorito tutte le innovazioni del nostro tempo. Ne ha tratto due lezioni. Che le rivoluzioni tecnologiche sono sempre seguite da crisi paurose. E che non sono mai inutili: cambiano il mondo, in modi che ci appaiono chiari solo con il tempo.

Fonte: La Repubblica del 12 marzo 2003

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