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Industria 4.0, l rilancio passerà da uno Stato più capace

di Fabrizio Onida

Il giusto rilancio di Industria (Impresa) 4.0 nel programma del governo chiama in causa la fantasia e la competenza dei neo-ministri pentastellati allo Sviluppo economico (Stefano Patuanelli), all’Innovazione tecnologica (Paola Pisano) e all’Istruzione (Lorenzo Fieramonte) sotto la sorveglianza del ministro all’Economia Roberto Gualtieri. Nella luce della proclamata “discontinuità” governativa, il disegno del programma coraggiosamente lanciato dall’ex-ministro Carlo Calenda potrebbe essere migliorato, mantenendo la scelta di fondo di preferire incentivi orizzontali semi-automatici all’antica e fallimentare concezione dei bandi a concorso e schemi di programmazione settoriale.

Serve una politica industriale fatta non solo di (pur irrinunciabili) interventi di salvataggio e tavoli di crisi, ma anche catalizzatrice di energie disperse nel tessuto iper-frammentato delle piccole e micro-imprese, così da neutralizzare gli svantaggi del nanismo imprenditoriale che rallenta la crescita della produttività. In un mondo crescentemente popolato da imprese rivali aggressive, spesso potentemente sostenute da governi nazionali ambiziosi e spregiudicati, per sopravvivere con successo non c’è alternativa ad un esasperato inseguimento di miglioramenti tecnologici e organizzativi come fattore di competitività. L’ultimo “Monitor dei settori ad alta tecnologia” del Servizio Studi di Intesa San Paolo rileva che nell’ultimo decennio le quasi 13.000 imprese sotto osservazione hanno registrato una crescita del fatturato e una performance reddituale superiore alla media delle imprese meno orientate all’innovazione tecnologica.

La preferenza per incentivi orizzontali, che giustamente evita i rischi di indebite intromissioni dei partiti vogliosi di potere e insieme riduce al minimo gli arbìtri e le complessità burocratiche nell’erogazione di benefici alle imprese, non deve far passare l’ideologia per cui lo Stato è solo regolatore e garante del “doing business” in quanto i mercati sono gli unici a saper fare le scelte giuste e gli investimenti migliori. Non occorre andare molto lontano nella storia e nella geografia per accorgersi che, nella globalizzazione di cui facciamo parte, altri paesi anche a noi vicini hanno ripreso da tempo a parlare di politica industriale, di “programmi per il futuro” e distretti tecnologici a partecipazione pubblico-privata (Germania, Francia), di parchi tecnico-scientifici con centri pubblici di ricerca applicata e incubatori di imprese per coltivare nuovi vantaggi competitivi (Regno Unito, Olanda, Irlanda).

Serve in Italia una politica industriale volta non solo – come nell’attuale configurazione di Impresa 4.0 – ad agevolare fiscalmente investimenti fissi e spese individuali di ricerca e sviluppo, nonché a usare la rete territoriale dei “Digital Innovation Hubs” per facilitare il contatto con una rosa selezionata di Centri di Competenza. Occorre anche studiare strumenti che sospingano le imprese (grandi, medie, piccole) più dinamiche e dotate di “veduta lunga” a impegnarsi in progetti di “ricerca pre-competitiva” in grado di stimolare lo sviluppo di “eco-sistemi innovativi” (Gianfelice Rocca). A questo scopo una quota significativa degli incentivi orizzontali a investimenti e ricerca potrebbe essere riservata a imprese che – a prescindere dai settori di appartenenza – dimostrino di muoversi in un’ottica di cooperazione con altre imprese e centri di ricerca.

Non è lo Stato a pilotare le scelte di investimento delle imprese, anche se la sua ancora significativa quota di azionariato in grandi gruppi manifatturieri e di servizi (da STMicroelectronics a Leonardo, Eni, Enel, Terna e altri) dovrebbe servire a mantenere l’Italia presente attivamente nei settori a elevato dinamismo tecnologico e a fungere da battistrada nelle rispettive filiere. Ma lo Stato può e deve indicare alcune grandi priorità per lo sviluppo economico, sociale e civile del paese, attorno a cui chiamare a raccolta le imprese desiderose di crescere in dimensione e leadership sui mercati globali, coinvolgendo anche molte affiliate italiane di imprese a capitale estero.

L’Italia è ricca di distretti industriali cresciuti con successo nel tempo, in cui assistiamo spesso a gruppi a capitale estero che fanno acquisizioni di imprese oggi di eccellenza. Purtroppo assistiamo anche a inesorabile declino o difficile recupero di passate eccellenze, come nel caso di scuola dell’area canavese dell’ex-Olivetti e a casi più recenti come la componentistica auto piemontese.

Ci sono grandi spazi per promuovere in Italia eco-sistemi innovativi in Italia in aree a forte radicamento di medie e medio-grandi imprese già oggi competitive in filiere come la meccatronica, la robotica, le biotecnologie, la sensoristica opto-elettronica, la chimica verde, le comunicazioni satellitari e altre ancora. Non c’è tempo da perdere in diatribe sullo Stato imprenditore.

Fonte: Sole 24Ore, 11 settembre 2019

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