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In Portogallo conta più la Troika che gli elettori

di Carlo Clericetti

Ciò che sta accadendo in Portogallo, dove si sono appena tenute le elezioni politiche, è una clamorosa testimonianza del degrado della democrazia in Europa. Il partito conservatore che era al governo, i socialdemocratici guidati da Pedro Passos Coelho, ha ottenuto il 36,8% dei voti restando il primo partito, ma ha subìto un calo vistoso (ben il 13%) perdendo la maggioranza in Parlamento. Ha tentato di formare una “grande coalizione” con i socialisti di Antonio Costa, ma l’accordo non è stato raggiunto. La maggioranza ce l’ha, invece, una coalizione di sinistra: socialisti (32,4%), Bloco de esquerda (10,2) e comunisti e verdi (8,3). Insieme, oltre alla maggioranza assoluta dei voti, hanno 122 seggi, 7 in più di quelli necessari .

Ma qui entra in scena il presidente, Anibal Cavaco Silva, conservatore. “In 40 anni di democrazia, nessun governo in Portogallo ha mai dovuto dipendere dall’appoggio di forze anti-europee”, ha dichiarato, secondo quanto riferisce l’autorevole commentatore del Telegraph Ambrose Evans-Pritchard. “Ossia – ha proseguito – forze che hanno dichiarato di voler abrogare il Trattato di Lisbona, il Fiscal compact, il Patto di stabilità e di crescita e di voler rompere l’unione monetaria e portare il Portogallo fuori dall’euro, oltre a volere la dissoluzione della Nato. Dopo che abbiamo sopportato un oneroso piano di assistenza finanziaria, che ha comportato duri sacrifici, è mio dovere, nell’ambito dei miei poteri costituzionali, di fare quanto è possibile per evitare di dare segnali sbagliati alle istituzioni finanziarie, agli investitori e ai mercati”.

Avevamo criticato Giorgio Napolitano perché rifiutò di conferire l’incarico di governo al leader del partito più votato, cioè Pier Luigi Bersani, a cui pose la condizione di avere prima una maggioranza parlamentare certa. Ma qui siamo molto oltre: Cavaco Silva rifiuta di far formare il governo a una coalizione che la maggioranza ce l’avrebbe, e affida il compito a chi invece ne è privo. Si giustifica arrampicandosi sugli specchi: la maggioranza del popolo portoghese, afferma, non ha votato per partiti anti-euro. Lo apprendiamo sempre da Evans-Pritchard, perché la maggior parte dei mezzi di comunicazione si è disinteressata della vicenda, nonostante che riguardi un paese della zona euro.

A chi scrive quanto sta accadendo sembra di una gravità eccezionale. Il presidente di un paese democratico dichiara esplicitamente che la Troika e i mercati contano più delle scelte degli elettori. La scusa che oppone è penosa: il Partito socialista di Costa, di gran lunga il più forte della coalizione, è tutto meno che estremista e non ha mai dichiarato di voler uscire dall’Europa o dall’euro. Però, a differenza di altri partiti socialisti e socialdemocratici europei, evidentemente ricorda ancora da che parte sta la sinistra, e di certo non sta con la politica finora imposta dall’Europa. Le trattative fra i tre partiti sono ancora in corso, ma la sostanza del programma “rivoluzionario” della coalizione starebbe nel non far scendere ancora salari e pensioni e aumentare il salario minimo.

Lo scenario si fa ora incerto. Costa ha dichiarato che un governo di minoranza di Passos Coelho non avrà la fiducia. Se andrà così si aprirà un periodo di paralisi istituzionale, perché eventuali nuove elezioni non potrebbero tenersi prima della seconda metà del 2016 visto che il presidente è nel “semestre bianco”. La speranza di Cavaco Silva è che i socialisti – una parte dei quali trova abbastanza indigesta l’alleanza con gli altri due partiti, considerati troppo estremisti – si spacchino al momento del voto di fiducia. Una speranza che ha basi deboli: secondo l’eurodeputata Ana Gomes il comportamento del presidente ha compattato il partito, e tutti hanno dichiarato che non voteranno la fiducia. Di sicura c’è solo una cosa: è stata scritta una pagina vergognosa nella storia del paese.

(Repubblica.it – 25 ott 2015)

www.carloclericetti.it

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